La vittima predestinata

Ora che l’Italicum è approdato alla Camera in prima lettura, ci si chiede se Renzi lascerà ansimare il governo Letta oppure, come da accordi con Napolitano, farà passare tutto il 2014 per rifarsi vivo l’anno prossimo. Guardate che non è così facile per Letta vivere con la pistola fumante sul collo: da un lato si ritrova Renzi ansiosissimo di dar fuoco alle polveri e andare al voto quanto prima; dall’altro la promessa del presidente della Repubblica che gli ha assicurato che il governo reggerà almeno fino all’anno prossimo. In mezzo – a coprire il fianco al PresdelCons – c’è Forza Italia che di votare adesso non ne ha proprio voglia dato che per i sondaggi veleggiano un pelino sopra al venti per cento. Ed è scontato che Berlusconi per vincere ha la sola chance del primo turno, quindi si voterà non prima del 2015. Punto.

L’anno prossimo le cose potrebbero cambiare ulteriormente, tant’è che il Cavaliere ha parecchio insistito sulla soglia di maggioranza al 36 per cento proprio perché convinto che quella quota, FI, possa agevolmente superarla (con Toti premier?) senza avvantaggiare i suoi peggiori incubi, Alfano e Casini. Inoltre, la cancellazione del Senato non è una cosa secondaria, per entrambi: Renzi è convinto che con la Camera delle Autonomie tanti attuali senatori – grillini, civici, sinistri – salteranno inevitabilmente sul carro democratico; mentre a Berlusconi basta solo che i due ex pupilli stiano quanto più lontano possibile dal Parlamento.

Il segretario Pd ha difatti ‘obbligato’ il governo a ridisegnare i collegi entro 45 giorni per due motivi sistemici: il primo per rassicurare gli alleati vecchi e nuovi che lui non vuole chiudere con la legislatura in corso; il secondo dimostra invece che quei 45 giorni sono un lasso di tempo accettabile per far capire che non ha abbassato la guardia. Quindi la pistola rimarrà fumante ma sulla fondina. Almeno finché il prurito non tornerà a farsi risentire.

C’è anche un altro fattore da tenere bene a mente: Letta e Renzi fanno parte dello stesso partito (tanto che in questi due giorni Letta ha sostenuto Renzi fino alla morte), dunque saranno sì amici-nemici, ma il vero anello debole della catena è, e rimane, Angelino Alfano. Lo si nota quando il sindaco, dopo aver intascato la legge elettorale, torna a parlare del Jobs Act spronando il governo a muoversi:

Palazzo Chigi è lì, ad un passo. Ma il passo diventa doppio se non riuscirà a mettere all’angolo il Ncd. E sarà doppio se non riuscirà a far capire agli elettori che Alfano conta nulla nel programma del Renzi di governo. La vittima predestinata, ecco quello che dovrà diventare Alfano se il segretario vuole diventare premier. Anche se l’ex delfino del Cav scalcia e sputa. L’ultima richiesta – a mo’ di out out di mini­stri ren­ziani in un governo di scopo a guida Letta – suona come l’ultimo dispe­rato ten­ta­tivo di piazzarsi nell’ultimo scalino prima del vuoto. Ma per quanto l’idea di un rimpasto con molti ministri di parte sia allettante, il sindaco-segretario non vuole minimamente fare parte di un governo insoddisfacente con il quale dividere la sconfitta. Per cui al momento l’idea è quella del rimpastino dei soli ministri ‘tecnici’, escluso l’inamovibile Saccomanni, di area alfaniana.

This post was last modified on 14 Novembre 2018 17:04