Matteo Renzi stava per finire con le solite rassicurazioni sull’esecutivo Letta – «non sono io che metto in difficoltà il governo» – quando arriva la classica domanda sul rimpasto («So che è allergico al termine rimpasto, ma Fassina…»). La risposta sorridente del segretario è “Chi?”. E Stefano Fassina qualche ora dopo si è dimesso.
Aldilà delle facili difese per l’uno o per l’altro, mi sembra ridicolo motivare delle dimissioni “irrevocabili” per una battuta – dimenticando che per anni il duo Renzi-Fassina è andato avanti con freddure più o meno pesanti (qui Fassina, qui Renzi) – quando la realtà dice che quella del viceministro all’economia è stata una mossa politica studiata a tavolino, preparata con le interviste dell’ultima settimana che servivano a scaricare su Renzi la responsabilità dell’esecutivo. Renzi può far cadere il governo, se vuole, o sostituire i ministri Pd con altri che ritiene più ideonei. Però smettiamola di dare la colpa a Renzi o a Fassina perché non è così: le divergenze vanno sanate se si arriva ad un punto comune, o respinte se non si ritengono convincenti. C’è poco da discutere: o piace o non piace. Punto.
Queste dimissioni mettono in difficoltà il governo Letta. E Fassina è costretto a precisare che sono “irrevocabili” proprio perché già nell’ottobre scorso aveva fatto un passo indietro da un identico annuncio dovuto al dissenso sulla legge di stabilità. Poi Letta lo aveva convinto a restare. Il viceministro riesce adesso a scaricare su Renzi una sua già maturata scelta di rottura, provando a raddoppiarne l’effetto. Ancora ieri mattina Fassina insisteva per un rimpasto mettendo il suo mandato a disposizione di Letta e Renzi. Ora il sindaco di Firenze l’ha liquidato come era stato liquidato da D’Alema tempo fa. E però Fassina non si è lasciato sfuggire l’occasione: «Le parole di Renzi su di me confermano la valutazione politica che ho proposto in questi giorni: la delegazione del Pd al governo va resa coerente con il risultato congressuale; è responsabilità di Renzi proporre uomini e donne sulla sua linea». E conclude con la formula del bravo dirigente: «Non c’è nulla di personale, è una questione politica». Politica, certo, ma anche personale.
This post was last modified on 14 Novembre 2018 17:04