Qualche settimana fa, il Washington Post aveva scritto che l’inchiesta sul Russiagate si stava concentrando su un “alto funzionario della Casa Bianca molto vicino al presidente Trump“. Tra le righe si capisce che il funzionario coinvolto è Jared Kushner, genero di Donald Trump, già in passato sotto la lente di ingrandimento per i suoi rapporti con i russi.

Qualche giorno dopo, infatti, il Washington Post fa scoppiare la bomba: Kushner e l’ambasciatore russo si sono sentiti a dicembre, quindi prima dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca, allo scopo di “organizzare un canale di comunicazione segreto e sicuro tra il comitato Trump e il Cremlino, anche usando le strutture diplomatiche russe, allo scopo di evitare che le loro comunicazioni fossero monitorate o intercettate”. La notizia è vera perché l’ambasciatore russo, intercettato dall’Fbi mentre raccontava la conversazione con Kushner a Mosca, rimaneva sorpreso per la proposta di usare le ambasciate e i consolati russi come canale di comunicazione segreto. Interrogato, Kushner ha detto che non se le ricorda.

I fatti, oltre ad essere dannatamente strani, pongono alcune domande su cui riflettere:

  1. Perché Kushner voleva nascondere le comunicazioni tra Trump e i russi?
  2. Di cosa dovevano discutere di così segreto?
  3. Perché così tanta fretta se da lì a poche settimane Trump sarebbe diventato il 45° Presidente degli Stati Uniti e avrebbe avuto, quindi, tutte le comunicazioni che voleva col Cremlino, sia legalmente che in segreto?
  4. Chi ha chiesto a Kushner di lanciare la proposta ai russi? Chi sapeva oltre a lui?

La cosa non può e non finirà certo qui.

Anche perché Michael Flynn, ex consigliere per la sicurezza di Trump dimessosi dopo essere andato sotto inchiesta per i suoi oscuri rapporti con i russi, ha preferito non rispondere davanti alla commissione intelligence del Senato e farà probabilmente lo stesso davanti alla commissione intelligence della Camera che gli ha chiesto di comparire nei prossimi giorni. In cambio dell’immunità, però, potrebbe cambiare idea dopo che il New York Times ha scritto che i russi puntavano proprio su Flynn (e Paul Manafort, ex capo del comitato elettorale di Trump) per influenzare il presidente statunitense. Insomma, cose leggere.

Sappiamo anche che a marzo Trump chiese ai capi delle agenzie di intelligence Usa di negare le prove della collaborazione tra il suo comitato elettorale e Putin, ma Dan Coats, capo dell’intelligence nazionale scelto proprio da Trump, si rifiutò, e lo stesso fece il capo della NSA Mike Rogers. Infine, sappiamo che un funzionario repubblicano della Florida ricevette alcuni documenti riservati del Partito Democratico trafugati in campagna elettorale direttamente dagli hacker russi e li consegnò a Roger Stone, amico personale e consigliere di Trump, non prima di averli pubblicati sul suo blog. Questo dato è il primo vero legame diretto tra gli hacker russi, il comitato Trump e il Partito Repubblicano.

In tempi normali una storia del genere porterebbe alle dimissioni di tutte le persone chiamate in causa, ma dopo la vittoria di Trump non viviamo più in tempi normali. Questo ci porta a ulteriori domande su cui riflettere:

  1. Jared Kushner si dimetterà da funzionario e consulente della Casa Bianca?
  2. Il super procuratore Mueller cercherà di chiudere il cerchio su Flynn o cercherà la sua collaborazione (anche in cambio dell’immunità) per arrivare prima a Kushner e poi a Trump?
  3. E infine la domanda più interessante: Trump cercherà ancora una volta di ostacolare le indagini?

Anche se non è semplice dimostrare un coinvolgimento diretto tra il comitato elettorale di Trump e i russi, è terribilmente grave l’accusa per Trump di aver cercato di ostacolare l’indagine e ostruire il normale percorso della giustizia.

E la sola accusa di ostruzione alla giustizia portò Richard Nixon alle dimissioni.