C’è stato un passato, c’è un presente e ci sarà un futuro. C’è stato un mondo senza mascherine, senza distanziamento sociale, senza zone rosse, arancioni e gialle e senza pandemia. C’è un presente covid-centrico in cui sono vietati gli assembramenti e uscire a guardar le stelle è diventato illegale. Ci sarà un futuro in cui ci ricorderemo del presente col magone nel cuore, pensando al mondo angusto che abbiamo lasciato e piangeremo di gioia al pensiero che, almeno noi, l’abbiamo scampata, mentre molti altri, compresi amici e conoscenti, ci hanno salutato per sempre.

Allo stesso modo c’è stato un periodo in cui Max Allegri veniva considerato tra i migliori, anche se troppo furbo, troppo presuntuoso, troppo fanatico, troppo compiaciuto di sé e di un gioco – il suo – brutto a vedersi e troppo difensivista – come fosse un’onta dalla quale liberarsi al più presto. Oggi, nel mondo di mezzo in cui viviamo, Allegri è diventato il Vate del calcio, il MacGyver del pallone, il Mister Wolf di cui il calcio italiano ha bisogno, anche se tutti lo cercano, o almeno così dicono, e nessuno se lo piglia.

Ma nel mondo del calcio – in questo mondo di mezzo, quale definizione migliore? – esiste un contesto di riferimento, variabili da considerare e valutare per farsi un’idea appena più precisa di quanto è ingarbugliato e complesso il mondo del pallone. Ed è in questo contesto che bisogna schierarsi, è in questo mondo che bisogna prima o poi fare i conti perché il dubbio, quello che rivela se hai o meno la stoffa, le cannonate le sparano dalla parte opposta alla tua.

Dico questo perché Andrea Agnelli si è schierato esplicitamente con Max Allegri: nessuno crede alla storiella dei due amici che decidono di vedersi dopo mesi per trascorre del tempo insieme. Lo affermo perché ci sono due casi, apparentemente scollegati tra loro, che mi portano a pensare così. La prima è lo schiaffone preso col Benevento, l’ennesimo di una stagione al limite delle tragedie shakespeariane, ma ben più grave perché quella partita aveva un significato di ripartenza dopo il patto dentro lo spogliatoio (l’ennesimo, anche questo); la seconda è il ritorno di Allegri davanti alle telecamere dopo quasi un anno di assenza. Pure congetture, certo, ma nel calcio le congetture hanno un significato ben preciso.

Ovviamente non esiste nessuna volontà di ripartire da dove si erano lasciati. È più la carezzina della buonanotte, la storiella prima di andare a dormire. I tempi sono quelli e i luoghi comuni pure. Però, soprattutto quando non si sta passando un buon momento, si ritorna sempre dove si è stati meglio. Lo ha fatto persino il mitico Real, e sarebbe da presuntuosi pensare di non poterlo fare pure alla Juventus. Solo che a Torino abbiamo un presidente che non va più allo stadio, nemmeno nel derby, che cerca conforto nel passato vincente. Pirlo sarà stato sicuramente informato dell’incontro e potrà pure continuare a fare spallucce ogni volta che viene criticato per un problema di gioco. Ma Pirlo, sorretto dalla squisita presunzione tipica dei novellini, non potrà nascondersi da sé stesso: anche lui, come quasi tutti quelli che lo hanno preceduto, lavora all’ombra di chi lo ha preceduto.

Mi viene da piangere quando sento che la Juve vuole costruire qualcosa di nuovo. Non perché non sia giusto o lo reputi un errore. È perfettamente logico pensare al futuro, soprattutto se legato alle possibilità di vittorie internazionali. Mi cresce il crimine quando noto che le possibilità di cambiamento vengono sistematicamente declinate alle solite parole vuote quando si scrive di Zidane, di Lippi e addirittura di Conte. Mentre mai, mai, si è smesso di parlare di Allegri. E non è nemmeno un caso perché Max è l’allenatore più vincente della storia juventina recente; e non è un caso che l’unico ad essere sbattuto fuori, con ripugna, anche se vincente, è stato Sarri: l’unico estraneo nel mondo Bianconero. La Juve di solito non guarda al passato, ma si rispecchia nei grandi uomini che l’hanno fatta grande per ricominciare e ripartire da lì.

Ad Andrea Pirlo probabilmente non capiterà la sorte di Sarri. Quest’anno ha il sacco pieno di alibi – nessun curriculum, nessuna preparazione, il virus, il protocollo, gli infortunati, il terremoto, l’inondazione, le cavallette… – ma si dovrà rendere conto che vivere di rendita, alla Juve, non è per sempre. Un po’ come vivere all’ombra di Allegri.