I due no di ieri, alla Camera per Cosentino e la bocciatura della Consulta ai referendum, sono le due immagini speculari dell’Italia.

In una facciata il paese che vuole cambiare, migliorare, crescere, con una legge elettorale che ci dia la possibilità di scegliere i nostri rappresentanti in Parlamento; l’altra facciata è quella garantista della politica, la stessa che chiede misure adeguate per la lotta alle mafie ma che salva uno di loro in odore camorristico.

I voti di ieri hanno avuto una doppia valenza: la salvaguardia di una misera classe politica e la salvaguardia di un governo Monti che non avrebbe più avuto le gambe per camminare.

Per carità, nulla da dire sulla sentenza della Corte Costituzionale anche se dissento, e in totale sincerità un po’ me l’aspettavo. Credo però che la non ammissibilità dei due quesiti referendari sia l’anima di ciò che siamo oggi nel nostro paese.

Nate sulla scia del referendum sul nucleare, queste richieste avevano portato la firma di 1,2 milioni di italiani che, probabilmente, erano coloro che credevano più di altri in un cambiamento delle modalità elettive. Il problema difatti non è nelle firme di quei coraggiosi che volevano qualcosa di meglio dalla politica, bensì nella formulazione delle domande. E’ inevitabile che il Porcellum prima o poi dovrà essere restituito a chi lo ha scritto; è altrettanto inevitabile che la sostituzione non possa avvenire tramite la democrazia partecipata ma in quella rappresentativa. Non è indispensabile un referendum per cambiare, occorre la volontà politica, volontà che attualmente non c’è.

Il caso Cosentino è molto più complesso. Non è stata una semplice richiesta di arresto, è stato richiesto di cambiare la politica in qualcosa che in questo momento non è possibile: voltare pagina.

Cambia pochissimo se la Lega si è spaccata sul voto o che i sei voti dei Radicali abbiano fatto pendere la bilancia verso la bocciatura. Se davvero si voleva cambiare il panorama politico, Cosentino doveva essere messo alla porta con il novanta per cento dei sì. Il voto di ieri ha sancito solamente l’intenzione di questa classe dirigente di non voler cambiare. Non è così grave. Lo sarebbe stato, paradossalmente, se l’ex coordinatore del Pdl campano fosse stato dato in pasto alle Procure a larga maggioranza.

Ricordiamoci che Monti è a Palazzo Chigi perché i politici non sono riusciti ad approvare le misure drastiche che l’Europa esigeva. Sprofondare nel baratro della recessione, per l’Italia, consisteva nel non riuscire a pagare gli interessi ai titoli di Stato finora emessi. Non è roba da poco. I politici non riuscivano a pensare alle misure da prendere senza essere ottenebrati dalle successive elezioni. Quando succede questo, è normalissimo che quella classe dirigente non è più in grado di portare avanti il mandato. Da qui il governo tecnico.
Se il voto di ieri faceva arrestare Cosentino, significava che la classe politica andava verso un cambiamento. Cambiamento che avrebbe portato allo scioglimento delle Camere e ad elezioni anticipate. Quindi campagna elettorale e mesi senza un governo supportato dal Parlamento in cui tutti i decreti finora proposti non avrebbero mai visto la luce. Significa inoltre soldi da spendere in contributi ai partiti; soldi da buttare in carta straccia elettorale; soldi per far girare la macchina della propaganda che avrebbero portato gli stessi volti e gli stessi nomi agli stessi scranni parlamentari. Io non sono così disposto ad accettare il cambiamento solo sulla data delle elezioni.

E’ bene comunque ribadire che Cosentino, col voto di ieri, non è stato prosciolto: solamente non andrà in carcere prima del processo. Perché il processo si farà, e se verrà ritenuto colpevole come mi auguro, il deputato amico di Berlusconi andrà in carcere per favoreggiamento camorristico. Sono anni e anni di carcere.

La politicizzazione del voto a Cosentino da parte di Bossi poi, ha sancito quanto erano false – o poco realistiche – le voci di questi mesi in cui si dava per rotta l’alleanza Pdl-Carroccio. E’ bastata una parolina del Cavaliere al capo della Lega per far crollare un castello di sabbia che, appunto, si teneva su fondamenta assai precarie. Ha sancito anche la rottura con Maroni, ma è un dato che non comporta grossi cambiamenti nell’establishment leghista. Nella lotta intestina all’interno di via Bellerio ci sarà un vincitore, ma Maroni è troppo furbo per estromettere malamente il segretario: arriverà il momento nel quale lo stesso Bossi sarà costretto a dare la Lega in mano all’ex ministro degli Interni. Abbia ancora un po’ di pazienza Maroni, quel momento non è ancora arrivato.

E poi c’è Di Pietro.

Chi mi legge e mi conosce sa cosa penso del leader dell’Idv, e non mi scompongo oggi nel dire, ancora una volta, che è il peggior politico che potessimo avere. Per cui non credo di dire una cosa nuova quando affermo che sarebbe da cacciare dal Parlamento definitivamente: è impensabile che un parlamentare, specialmente se leader di un partito, possa dire pubblicamente ciò che egli ha detto ieri subito dopo la sentenza della Consulta.

In Italia stiamo attraversando una fase in cui chiunque può tranquillamente affermare che le Istituzioni sono «una pericolosa deriva antidemocratica» e passarla liscia, anzi vedere ingrossati i consensi personali perché ha avuto il “coraggio” di dire in faccia ciò che pensa. Dire in faccia, essere coraggiosi di parlare davanti alle persone e non alle spalle, non è sempre un merito. Non lo è soprattutto se quelle parole sono gravemente offensive, specialmente se rivolte alle alte Istituzioni. Non perché alle “Alte Istituzioni” non si possa dir nulla, ma perché sono quelle entità che solennemente si è giurato di proteggere, difendere e servire. Se le offendi, se le denigri, viene meno il giuramento a cui ti sei sottoposto. E viene meno la fiducia che gli elettori – tutti noi – abbiamo posto nelle tue mani. I tanti, troppi, Di Pietro che esistono in Italia, non meritano fiducia.

Al 2013 ci vuole un anno, questo tempo potrebbe essere preso in considerazione per trattare e arrivare a un accordo su una nuova legge elettorale. Probabilmente la Consulta, nelle motivazioni della sentenza, sancirà una mezza incostituzionalità del Porcellum, diventa quindi la situazione ideale. Non sarà cosa facile trovare un’intesa, ma cercarla senza la pressione della scadenza referendaria e la tendenza al restauro del Mattarellum sarà di sicuro meno ardua.