Secondo l’ultimo rile­vamento di Ban­ki­ta­lia, a novembre dell’anno scorso i prestiti bancari ai privati sono calati del 4.3% su base annua; in un altro studio, Con­fin­du­stria ha calcolato che per le imprese il calo è stato del 10.5% – pari a 96 miliardi di euro – e che la tendenza per il 2014 è di un ulteriore contrazione dell’1%. Confindustria conferma però che dal 2015 le banche dovrebbero riprendere a prestar soldi (+2,8%, +22 miliardi di euro). In ogni caso, aggiungono gli esperti di Viale dell’Astronomia, l’aumento non potrà soddisfare il fabbisogno finanziario perché servono investimenti per 90 miliardi in cinque anni. Soldi che, al momento, non ci sono.

Non si vede nemmeno la ripresa che avrebbe dovuto mettere un freno alla caduta nel rapporto tra i prestiti e il Pil. A quanto pare l’unica speranza rimasta è nel buon esito degli stress test che la Bce ha appena iniziato sui bilanci bancari: se confermati, dovrebbero essere l’unica arma che spingerebbe le banche a ridare fiducia ai loro clienti. Ma non basta, ovviamente, perché non è così semplice come sembra.

La difficoltà con cui il denaro delle banche arriva all’economia reale – il cosiddetto cre­dit crunch – è cresciuta esponenzialmente dello 0.4% mensile per esplodere alla fine del 2013 dell’1.2% quando la sofferenza delle imprese che chiedevano prestiti è salita a 103 miliardi di euro. Nel 2008 erano 25 miliardi, significa che in questi sei anni di crisi feroce l’aumento è stato del 400%. È dunque questa – come indica il centro studi di Confindustria – la principale causa del credit crunch in Italia, che ha prolungato e approfondito la recessione par­tita dalla stretta cre­di­ti­zia nel 2011. Siamo pertanto immersi in un cir­colo vizioso cre­dit crunch–reces­sione che si autoalimenta. Per alcuni analisti ci sarà un aumento del credito già dal 2014 (+1.6%), ma i ritmi rimarranno comunque contenuti e decisamente inferiori ai livelli pre-crisi quando i dati parlavano di un +12.7%. Per Bankitalia, invece, il blocco creditizio continuerà almeno per tutta la metà dell’anno in corso.

La difficoltà, non è una sorpresa, deriva dalla bolla finanziaria la cui esplosione ha di fatto costretto gli stati europei a tagliare i bilanci e ridurre la domanda interna. La disoccupazione nel 2014 – la cui giovanile sfiora il 42% mentre in generale siamo al 12.7 – chiude il cerchio: la mancanza di reddito derivato dal lavoro ha peggiorato, e peggiora sempre di più, la stagnazione dell’economia. Anche se quest’anno ci sarà una «ripresa debole e mode­sta» come ha recentemente affermato Mario Dra­ghi, le banche continueranno a mantenere i loro forzieri pieni senza prestare liquidità a famiglie e imprese a causa della continua pre­ca­rietà occu­pa­zio­nale. Tra dicembre 2011 e febbraio 2012, ad esempio, la Bce ha prestato mille miliardi di euro alle banche europee al tasso di interesse dell’1%. Dei 200 miliardi prestati alle banche italiane, solo il 5% degli over 15 hanno ricevuto prestiti nel 2012, a fronte di una media europea del 13%. Il resto dei soldi sono finiti – come dicono i dati di Ban­ki­ta­lia e Con­fin­du­stria – nell’acquisto di titoli di stato oppure in prestito a chi ha solide garanzie, ossia le grandi imprese aderenti al ristrettissimo circolo bancario.

Detta così sembra una gigantesca redistribuzione della ricchezza, ma al contrario, dove il credito viene raccolto dalle banche e girato ai piani alti della finanza amica. La conferma arriva dai dati sui prestiti alle famiglie e alle imprese: nel 2013 sono scesi dell’1.5% rispetto al 2012, con la sofferenza delle famiglie cresciuta a 13 miliardi di euro; alle imprese è andata decisamente peggio il cui calo è stato del 6%. Nel 2008, il primo anno di crisi, i dati per le famiglie parlavano di ‘soli’ sei miliardi.