Tra qualche giorno sapremo in cosa consisterà il Job Act di Matteo Renzi. Sapremo se si incolonnerà nella ormai ventennale autostrada dell’offerta, cioè rendere più facili i licenziamenti; oppure rendere più elastici i contratti di entrata, mettendosi in scia ai vari Treu, Biagi, Maroni, Sacconi, Fornero. Oppure se capirà che è il caso di cambiare drasticamente rotta. Mi piacerebbe sentirgli dire, e veder scritto, quello che John Cridland – direttore generale della Cbi, la Confindustria britannica – ha detto nel suo messaggio di fine anno ai 240mila imprenditori aderenti: dovete pagare di più i vostri dipendenti. Mi piacerebbe sentirgli dire, e leggere, quello che il premier giapponese Shinzo Abe ha detto a Toyota, Sony e Nintendo: dovete pagare i vostri dipendenti più del tasso di inflazione programmato. Mi piacerebbe che, oltre a parlare dello sfondamento del tetto del 3 per cento adesso che l’inflazione è allo 0,7, Renzi imponesse l’aumento del salario in base all’aumento della produttività. Cioè che pensasse a rimettere in vita il mercato interno invece che a pensare solo alla competizione sui prezzi per le esportazioni. Mi piacerebbe.