L’amianto è causa di una strage silenziosa tra le persone che hanno lavorato sulle navi o nei cantieri navali, soprattutto in attività di manutenzione. Usata per isolare e proteggere le imbarcazioni, ha provocato gravi malattie respiratorie e tumori a chi l’ha respirata o toccata. In questo post, vi racconto la storia di alcuni di questi eroi dimenticati, che hanno sacrificato la loro salute e la loro vita per il bene del Paese e dell’industria navale.

Dal principio

Procida è un’isola con 10mila persone e circa 2mila marittimi. Un tempo erano il doppio. Qui si sono verificati 8 casi di mesotelioma, un tumore raro che colpisce una persona su 100mila lavoratori. Per giustificare il numero, avrebbero dovuto essere 800mila. A dirlo è Nicola Carabellese, presidente dell’Apin, Asbestos Personal Injury Network Vittime Amianto, Onlus internazionale fondata nel 2012.

Il mesotelioma pleurico

Le parole di Carabellese sono emblematiche per descrivere il problema delle malattie da amianto nei marittimi, una categoria che oggi in Italia conta circa 40mila lavoratori ma che negli anni ’70 superava le 100mila unità. I marittimi e i lavoratori dei cantieri navali formano un comparto vitale per il nostro paese: al 2° posto in Europa per trasporti via mare e al 3° per la cantieristica secondo il Blue Economy Report 2022. A Procida, isola di navigatori, non ci sono fonti di esposizione all’amianto così impattanti da giustificare un così alto numero di malattie da amianto.

È un tumore raro e insidioso, il mesotelioma pleurico, attacca la pleura, il tessuto che riveste il polmone. La causa principale è l’amianto, una fibra minerale che l’Italia ha vietato nel 1992 ma che continua a mietere vittime anche dopo 40 anni dall’esposizione. Non tutti i casi di tumore al polmone sono riconducibili all’amianto, però, e questo fa sì che molti deceduti non entrino nel conteggio delle oltre 4mila vittime annuali nel nostro paese.

Il rischio dei marittimi

Tra le categorie più a rischio ci sono i marittimi, che hanno lavorato a bordo di navi dove l’amianto era presente in abbondanza. Secondo i dati ufficiali, i marittimi rappresentano solo il 2 per cento dei casi di mesotelioma con esposizione professionale accertata, ma si tratta di una stima parziale e inaffidabile. Infatti, molti marittimi sono stati esposti in modo inconsapevole e non hanno beneficiato di una adeguata sorveglianza sanitaria. Lo denuncia l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto: «I marittimi sono vittime di una vera e propria strage silenziosa».

L’incendio a bordo è una delle paure più grandi per i naviganti. Per questo motivo le navi hanno usato l’amianto, un materiale resistente al fuoco, fin dai primi anni del secolo scorso. L’amianto serviva a isolare i motori a vapore e poi si è diffuso in tutta la struttura delle navi, soprattutto quelle mercantili, militari e da crociera. Le navi erano sottoposte a continue sollecitazioni che facevano rilasciare le fibre di amianto nell’aria. I marittimi respiravano queste fibre per 24 ore al giorno in ambienti con sistemi di ricircolo dell’aria.

Esposizione mortale

L’Italia ha consumato più amianto di quello che produceva nella cava di Balangero, la più grande miniera europea, in provincia di Torino. L’amianto arrivava o partiva dall’Italia via mare, provenendo o andando verso Sud Africa, Russia e Canada. I porti erano i luoghi dove transitava l’amianto e dove erano esposti anche i lavoratori addetti al trasporto e alla movimentazione delle merci. Fino ai primi anni ’70, l’amianto viaggiava in sacchi di juta e lino, poi sostituiti da quelli in carta, juta sintetica e plastica. Infine si è passati ai container. Dai sacchi, i marittimi prendevano l’amianto per usarlo come coibente, mescolandolo a mano con altri componenti.

Quando si rompeva la coibentazione bisognava togliere l’amianto vecchio, creando una nuvola di polvere, e mettere quello nuovo, impastandolo a mano. Oggi, buona parte dei lavoratori che sostituivano le coibente ha un ispessimento pleurico. Ci sono molte storie simili a questa, come quella di un barista sulle navi, morto per una malattia legata all’amianto che si ammalò per l’amianto nelle guarnizioni della macchina del caffè.

Una questione di calcoli

I primi indizi della pericolosità dell’amianto risalgono al 1899, quando un medico londinese trovò alterazioni polmonari in un lavoratore di una fabbrica di amianto. Altri studi confermarono il rischio, ma l’industria non si fermò. Una svolta importante fu la decisione degli Usa di bandire l’amianto in molti stati negli anni ’70 a tutela dei marittimi statunitensi dopo che, a cavallo della Seconda guerra mondiale, impiegarono 4 milioni di lavoratori esposti all’amianto. Trent’anni dopo, molti di loro morirono per mesotelioma o asbestosi.

«Ma non gli altri. Sapevano che faceva male – sottolinea Carabellese di Apin che a causa di una malattia legata all’amianto ha perso il padre, deceduto a 62 anni dopo anni di navigazione su navi di compagnie statunitensi – ma hanno lo stesso mandato italiani ed europei al macello. Qua hanno trovato terreno fertile: manodopera affamata con vocazione marittima. Gli hanno fatto fare lavori più disparati senza dire che l’amianto faceva male quando uno stesso marittimo statunitense lo sapeva».

Probabilmente hanno fatto un conto, tipo: si ammaleranno quante persone? il 5 per cento? Il 2? Quante arriveranno a fare causa, lo 0,1? Quindi, fatto il calcolo, hanno scelto di esporre delle persone a un rischio mortalmente pericoloso. Anche compagnie americane come Texaco, Exxon, Mobil, Socal, Gulf Oil o il gruppo Carnival, hanno avuto per anni marittimi europei sulle loro navi. Negli anni ’80 erano frequentissimi i viaggi di petrolio grezzo dal Golfo Persico alle coste americane. La cosa positiva di una causa negli Stati Uniti è che se la società imputata fallisce, c’è una cassa statale che risarcisce le vittime.

I risarcimenti per chi si ammala di mesotelioma

Non è facile ottenere un risarcimento per i marittimi che hanno lavorato a contatto con l’amianto, almeno fino al 2011. La legge italiana del 1992 prevedeva dei risarcimenti solo per chi poteva dimostrare di aver lavorato nello stesso posto per almeno 10 anni. Ma i marittimi cambiavano spesso contratto e armatore, quindi non avevano questa prova. Inoltre, la legge si applicava solo agli iscritti all’Inail, mentre i marittimi erano assicurati con Ipsema.

La legge del 2003 ha ampliato i benefici anche ai non iscritti all’Inail, ma ha imposto dei requisiti molto severi: il lavoratore doveva presentare un curriculum firmato dal datore di lavoro che attesti l’esposizione all’amianto per almeno 10 anni e una concentrazione di almeno 100 fibre/litro per 8 ore al giorno. Queste condizioni erano impossibili da soddisfare per i marittimi, che vivevano a bordo delle navi per 24 ore al giorno e che erano esposti a livelli molto più alti di amianto. In più, le norme internazionali vietavano l’uso dell’amianto sulle navi mercantili solo dal 2011, quindi i marittimi hanno continuato a rischiare la loro salute anche dopo che la legge italiana lo aveva proibito. L’amianto è ancora presente in molte navi italiane e straniere, e rappresenta una minaccia per i marittimi e per l’ambiente.

L’amianto che non esiste

L’amianto sulle navi non appartiene al passato. Lo spiega ancora Carabellese: «Esistono navi senza amianto, certificate come asbesto free, ma nel Mediterraneo navigano anche navi che hanno solo fatto le bonifiche di contenimento. Questo significa che l’amianto è ancora a bordo, ma isolato. Sono navi italiane e straniere». In pratica, si è coperto con un materiale protettivo quello che era più difficile da rimuovere: i tubi e altri elementi rivestiti di amianto. La bonifica di una nave è molto costosa e quindi, nel rispetto della legge, c’è chi cerca di limitare le spese.

Ci sono paesi come Cina, Russia, India, Canada o paesi dell’est dove l’amianto si può usare. Il fatto è che se una nave arriva in un porto cinese, deve fare una riparazione e compra delle guarnizioni, può trovarsi dell’amianto dentro. La sua presenza dovrebbe essere segnalata, ed è un bel problema perché se ci sono conseguenze, le scopriremo tra anni.

Monfalcone è fuori scala

In Italia non si è mai smesso di parlare del picco dei malati di amianto, previsto per il 2020. Ma a Monfalcone, una delle città più colpite dal problema, il picco non c’è stato e non ci sarà. Qui l’amianto ha fatto strage tra gli operai dei cantieri navali che lo usavano in abbondanza per costruire le navi. E ora sta uccidendo anche chi non ha mai lavorato con quel materiale, ma lo ha respirato per caso, magari attraverso i vestiti dei familiari. È il caso di molte mogli, intorno ai 70 anni, e di alcuni figli, sui 40-50 anni.

Lo spiega bene Paolo Barbina, direttora del centro regionale unico amianto del Friuli: «I dati sono stabili. Il problema oggi è che stanno comparendo casi nei conviventi». A Monfalcone, infatti, non solo gli ex operai dei cantieri sono morti di lavoro, ma anche tante persone che non hanno mai messo piede in una nave. Come le mogli dei marittimi, che lavavano i vestiti sporchi di polvere bianca.

Io sono il cantiere

«La polvere era dappertutto e non c’era nessuna precauzione, né mascherine né nienteraccontava nel libro “Io sono il cantiereCarmelo Cuscunà, ex presidente dell’Associazione Esposti Amianto e coibentatore in Fincantieri dal 1957 al 1980, morto a marzo di quest’anno – C’erano mucchi di polvere di amianto anche sulla banchina. I primi tempi non si faceva caso, si lavorava, si correva sotto la fontanella a pulirsi le narici e la gola per mandar giù la polvere. A un certo punto respiravamo tutti male ma nessuno ci dava risposte. Ci dicevano casomai di bere del latte. Poi abbiamo fatto e vinto tante cause ma tanti sono morti. E noi eravamo andati a lavorare per dare il pane alle nostre famiglie, non per morire».

Chi fa manutenzione oggi è il più a rischio. I lavoratori dei cantieri navali che hanno il mesotelioma sono il 7,4% del totale, fino al 2018. Ma questa cifra è ancora troppo bassa. «Se avessimo fatto la legge vent’anni prima – dice Barbina – forse avremmo eliminato il rischio sanitario. Ma in Italia la normativa è del 1992. Ora non si usa più l’amianto, ma l’amianto continua a danneggiare i polmoni delle persone. C’è solo una cosa che possiamo fare: chiedere scusa alla gente. Scusate perché lo sapevamo ma non abbiamo agito: per i guadagni facili, non abbiamo voluto rinunciare».