Che in seno al Partito Democratico ci siano delle asperità tra le diverse correnti interne è scontato, era meno certo invece che l’attuale maggioranza non è più bersaniana bensì, come dimostreremo a breve, montiana.


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Con l’arrivo di Monti a Palazzo Chigi, le ambizioni di alcuni esponenti democratici si sono acuite fino a formare una vera e propria corrente di maggioranza all’interno del partito. Si conoscevano da tempo le diverse creature politiche in seno al Pd, ma finora non avevano raggiunto un risultato tale da mettere in soggezione la maggioranza del segretario Bersani. Gente come Veltroni, Fioroni e lo stesso vicesegretario Letta, avevano in comune la speranza che la deriva a sinistra dei Democrat non raggiungesse mai il culmine anche dopo il patto di Vasto con cui Bersani aveva sancito l’alleanza con Vendola e Di Pietro. Si vociferava, sempre nei corridoi del sapere democratico, che il patto non era ben visto non solo dai tre sopra citati, ma anche da una parte di dirigenti che mal si vedevano a confluire in un nuovo organigramma politico spostato più verso il radicalismo estremo che verso il riformismo in senso stretto.

Questa corrente – molto vicina al 50 per cento dei delegati – vorrebbe andare verso un liberismo più centrista di quello che potrebbe sembrare, tant’è che il punto di riferimento è il neoministro Corrado Passera. Il punto di tutto il discorso è allontanare quanto più possibile l’accozzaglia di partiti e partitelli che hanno dato vita al secondo governo Prodi, in cui gli stessi esponenti di maggioranza protestavano la mattina in piazza contro quei provvedimenti che il proprio partito avrebbe votato la sera in Parlamento. Da qui nasce il cosiddetto “partito dei Monti boys”.

Chi sono i Monti boys. Alcuni li abbiamo già elencati – Letta, Veltroni e Fioroni – gli altri sono quelli che si vedono nelle parole di Enrico Letta pronunciate qualche giorno fa («E’ ogni giorno più chiaro che il sostegno all’esecutivo guidato da Mario Monti rappresenta il primo, fondamentale, banco di prova per il Pd quale forza responsabile di governo […] Questo tipo di responsabilità implica serietà e coraggio e certamente non consente di mantenere troppo a lungo il piede in due staffe […] Non esiste – se non nella mente di qualche nostalgico di altre stagioni – lo spazio per la creazione di un partito di lotta e di governo, e vorremmo lasciarci alle spalle, e definitivamente, il ricordo dei ministri e dei sottosegretari militanti che partecipavano alle manifestazioni organizzate contro quel governo Prodi di cui essi stessi facevano parte»): il senatore Enrico Morando, il vice-capogruppo alla Camera Alessandro Maran, i veltroniani della prima ora, i Modem di Fioroni e la corrente lettiana del think tank 360 gradi e della fondazione Vedrò. In totale fanno più del 50%: 35 solo i Modem, il 15 i lettiani, più i rimasugli dei singoli non additati con questa o quella corrente, o i seguaci di Franceschini che cercano di smarcarsi dall’establishment bersaniana. Insomma, per Bersani i problemi sono appena iniziati, e se pensiamo che alcuni esponenti della segreteria – Fassina e Damiano – hanno l’intenzione di manifestare in piazza con la Cgil, si capisce perfettamente il perché di tutto il trambusto democratico.

Un nuovo Congresso. Con Monti al governo alcuni democratici vogliono sfruttare l’occasione per riscrivere definitivamente la storia del Partito democratico, convinti che in questo momento ci sia una maggioranza diversa da quella uscita all’ultimo congresso: «La verità – confessa un deputato vicino al vicesegretario del Pd Enrico Letta – è che con Monti a Palazzo Chigi ha riacquistato credibilità non solo l’Italia ma anche lo stesso Pd, e questo è un punto che ai vertici del nostro partito non può continuare a sfuggire».
«In effetti – dice Alessandro Maran – siamo convinti che l’esperienza del governo guidato dal professore sia utile al Partito democratico per sbianchettare la foto di Vasto e per evitare che alle prossime elezioni il Pd possa arrivare con delle caratteristiche simili a quelle che aveva nel 1994 la famosa armata guidata da Achille Occhetto. E’ evidente che il governo Monti ha cambiato, e sta cambiando, la geografia del nostro partito, e non prenderne atto, per i vertici del Pd, sarebbe un errore molto grave. E come si fa a prenderne atto? Semplice: convocando quanto prima un congresso per ridiscutere la linea del partito e certificare se il Pd vuole far tesoro del governo Monti oppure no».
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Si può andare oltre. Al convegno di metà novembre a Orvieto organizzato dalla fondazione LibertaEguale – un’altra corrente dei Liberal del Pd, dei veltroniani e dei Modem – era venuto fuori un patto simile al Lingotto (il convegno in cui Veltroni dava vita al Pd) e, davanti al fatto concreto del governo Monti, quell’idea scaturita dalla due giorni umbra è stata abbondantemente confermata dai fatti. Ciò significa che oggi, in piena crisi politica, il patto di Vasto è meno sensibile al patto di Orvieto all’interno del Pd, e questo acuisce ancora una volta il dramma secolare delle correnti nel centro-sinistra democratico. Possiamo però andare oltre.
Matteo Renzi, il sindaco di Firenze osteggiato dalla segreteria, non si è ancora pronunciato su questo nuovo governo di emergenza, ma dato che di solito apre bocca quando qualcosa gli dà fastidio, si pensa (malignamente) che il rottamatore stia dalla parte di Monti e quindi – per una logica tutta nostra – riconducibile ai Monti boys. Sarà così? Mah!

Come cambia la politica del Pd. Cambia radicalmente ma in sostanza con due scenari ben diversi. Nel primo i parlamentari ex Ppi di area Modem ritornano a lavorare all’interno del partito in modo da far riemergere quella politica riformista nata esplicitamente col Pd. La seconda prospettiva, meno concreta ma abbastanza realistica, è quella di scindersi dal partito creando un nuovo schieramento politico in cui confluire con i vecchi democristiani del Pd, del Pdl e del centro. Questo scenario è ben raccontato da alcuni parlamentari che vedono sia l’una che l’altra soluzione: «Se il Partito democratico non accetterà la svolta che chiediamoracconta un parlamentare del Pd di area popolare – la nostra idea è realizzare insieme con i nostri amici ex democristiani del Pdl un nuovo e robusto partito che al termine di questa legislatura potrebbe diventare il contenitore di tutte le forze riformiste del paese. Un partito che non sogniamo soltanto noi, e i nostri amici del Pdl, ma che sogna anche un ministro che una volta conclusa l’esperienza di questo governo non tornerà certo al suo vecchio lavoro ma rimarrà certamente all’interno del mondo della politica. Lui, naturalmente, è Corrado Passera».
Uno scenario che anche il veltroniano Alessandro Maran conferma: «Se ne parla, è vero, sarebbe sciocco negarlo. Credo che non sia una possibilità concreta, ma nel centrosinistra se ne discute da qualche tempo, e seppure in piccola parte il rischio che rinunciare ad adottare un nuovo orizzonte riformista possa coincidere con una clamorosa scissione del Pd esiste, ed esiste davvero».

Nel 2013, se l’attuale governo andrà fino in fondo, ci saranno le elezioni politiche. Vedremo se il Pd ritornerà a fare il PD oppure si smembrerà per l’ennesima volta nella sua lunga storia da quando Antonio Gramsci fondò il Pci novant’anni fa.
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