Esattamente cinquant’anni fa ci fu un incontro straordinario tra rock e cinema; tra un’icona del western, il regista Sam Peckinpah, e il menestrello folk, il poeta Bob Dylan. Questa infatti è la storia del film “Pat Garrett and Billy the Kid”, portato al cinema nel 1973 con una colonna sonora country-folk di Bob Dylan pubblicata il 13 luglio del 1973.

Tutto, di questa collaborazione, è iconico. Pensate ai personaggi Pat Garrett e Billy the Kid: lo sceriffo e il bandito, l’archetipo di ogni storia western con James Coburn nel ruolo di Garrett e Kris Kristofferson in quello di Billy, bandito oltre che amico di Pat.

È una storia vera quella tra Pat e Billy, avvenuta nel 1881; una narrazione che ha ispirato racconti, storie, canzoni rock, ballad folk e country. E poi c’è Bob Dylan che non ha mai scritto per un film ma che è attratto dalla storia, dal tema e dal contrasto tra legge e fuorilegge, tra il bene e il male, l’amicizia e la giustizia che mette due uomini l’uno contro l’altro.

In nome di cosa, poi?

Secondo la leggenda, Sam Peckinpah non conosce Bob Dylan, vuole però una colonna sonora contemporanea e Kris Kristofferson, che invece lo conosce bene, suggerisce, appunto, Dylan. Si incontrano a Durango, in Messico, sul set del film tra saloon e case di legno ricostruite. Dylan suona una ballad e Peckinpah rimane così colpito da affidargli non solo la colonna sonora ma anche un ruolo nel film, quello del cowboy Atlas. Un ruolo sostanzialmente perfetto per Dylan: vestito di nero, enigmatico, sornione e ovviamente dalla parte dei banditi. Non dice una parola, ma è presente in tutte le scene chiave del film.

C’è una scena, nel film, che colpisce Bob Dylan per il suo struggente romanticismo che lo ispira a scrivere uno dei brani più importanti della storia della musica: lo sceriffo anziano, colpito allo stomaco, muore assistito dalla moglie, una donna grande e rude che mostra il suo dolore solo con le lacrime che le rigano il volto. Una scena di una bellezza struggente acuita dallo sfondo da un rosso tramonto. L’uomo di legge, colpito a morte, butta via il distintivo e, chiamando la moglie, le dice: “Mama, sto bussando alle porte del paradiso”.

Dylan registra a Città del Messico e a Burbank, in California, e proprio per questa scena scrive un capolavoro con un arpeggio di chitarra ipnotico e malinconico che sembra durare all’infinito, che diventa un classico della musica americana e viene definito dai critici “un esercizio di splendida semplicità”.

Signori, il Re del folk Bob Dylan:

Knockin’ on Heaven’s Door

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