La resa dei conti tra Renzi e Letta è stata solo rin­viata di quindici giorni, alla dire­zione Pd del 20 febbraio, in cui si decideranno le sorti del governo. Prossima settimana sapremo comunque qualcosa di più sulla legge elettorale e sulla proposta del segre­ta­rio del Pd di riformare il Senato e il Titolo V della Costituzione, anche se in questa guerra di potere non si capisce perfettamente cosa vogliono i due contendenti dato che di diversità politiche, in termini di contenuti, praticamente non ce ne sono. Il riassunto politico è tutto qui, adesso tocca a quello fantapolitico.

L’antagonismo tra Renzi e Letta sembra avviarsi al duopolio passato tra Veltroni e D’Alema. Certo, in quegli anni la visione strategica del partito e del paese era molto diversa; oggi invece sul campo si vedono due personalità di spicco che tentano di sovvertire l’ordine dei fattori, anche se con punti di vista pressoché opposti: il governista Letta cerca di affrontare la crisi con un esecutivo di emergenza chiamato a dare più una regolata alla burrasca pentastellata che ad un vero e proprio organo strategico, senza riuscire però ad intaccare l’architettura costituzionale e l’assetto produttivo italiano; Renzi, con lo stesso obiettivo, vuole invece dare una spinta maggiore al governo facendo in modo che a dettare l’agenda sia il Pd e non, come in teoria dovrebbe essere, l’esecutivo. Da qui l’idea di un cambio della guardia a Palazzo Chigi soffia col vento in poppa. È assolutamente più un fenomeno mediatico – una questione di correnti interne, tutt’al più – che realismo vero e proprio, sta di fatto che nella direzione di ieri si è visto Renzi continuare a dare ultimatum a Letta senza scalfirlo più di tanto, mentre dal canto suo, il pre­si­dente del Con­siglio sbatte i pugni per ritagliarsi lo spazio che gli compete.

I sussurri giornalistici su chi vuole un cambio al vertice arrivano un giorno sì e l’altro pure – l’ultimo, in ordine di tempo, è di Giorgio Squinzi – come le minacce di rivolgersi al Capo dello Stato per nominare il segre­ta­rio del Pd come nuovo capo dell’esecutivo. Le voci si rincorrono da diverse settimane, e per tutti non sarebbe uno scandalo, compresi i giornali berlusconiani (e oggi, nel suo editoriale, Sallusti mette ancora una volta Berlusconi e Renzi sulla stessa bilancia) e tutti quegli imprenditori che stanno sulla carretta del vincitore, chiunque esso sia. La clas­sica excu­sa­tio non petita, insomma.

Il rischio che Renzi non vuole correre è il ripetersi del ’98, quando l’autolesionismo dei DS portarono D’Alema a Palazzo Chigi senza passare dal voto – cosa assolutamente legittima e costituzionale, tra l’altro, ma un rospo troppo grosso da digerire due volte in poco più di una decade. Di alternative non è che ce ne siano granché: un nuovo governo con Forza Italia e Alfano è irrealistico, ma anche con Vendola e i dissidenti cinquestelle lo è. La minoranza del Pd – Cuperlo, Fassina & co. – spingono per un nuovo governo ma senza spiegare con chi dovrebbe formarsi questo benedetto governo; dall’altro lato i renziani spingono verso un’assunzione di responsabilità da parte di Letta nel farsi da parte. Per cui, a conti fatti, l’alternativa più credibile sono le elezioni anticipate. E ci voleva tanto?