La caciara successa l’altro giorno alla Camera mentre era in discussione il decreto Imu-Bankitalia, non era diversa da quanto accaduto decine di altre volte nella storia parlamentare. Oltre al merito del decreto, la contestazione verteva sull’accoppiamento di due vicende che, apparentemente, non c’entravano. In realtà c’entravano – come ho scritto qua – perché gli incassi fiscali dell’aumento di capitale sono tra le coperture per la cancellazione dell’Imu. Pur tuttavia si potevano politicamente scorporare, anche perché i requisiti di urgenza di un provvedimento che incideva su una situazione stabile dal 1936, e in parziale attuazione della legge bancaria del 2005, non sembrano ad occhio sussistere. Sia l’ostruzionismo che la richiesta di scorporo, e tanto più il merito del provvedimento Bankitalia, erano quindi avvenimenti politici, discutibili anche duramente, ma nulla di più o di diverso dal solito.

Ma c’è una cosa, a posteriori, che mi fa pensar male di tutta la vicenda. A questo punto, di fronte alla possibile decadenza del decreto (obiettivo politicamente e perfettamente legittimo), parte dalla maggioranza e dal governo la nota e ormai diffusa controffensiva: i cinquestelle vogliono farvi pagare l’Imu. Aldilà del fatto che governo e maggioranza si sono fatti trovare impreparati nella gestione del calendario, e sarebbe da scriverci sopra un trattato d’incapacità memorabile, non dico nemmeno nulla sul fatto che si sono appesi alla conversione di un decreto sulla vicenda Imu di cui si parla dall’aprile scorso, non da ieri. Per cui la ghigliottina è servita a salvaguardare il decreto e a sottolineare che questo intervento serve a proteggere i cittadini incolpevoli. Due piccioni con una fava, in pratica: blindare Bankitalia e scaricare sull’opposizione il disdegno degli elettori. L’unica controindicazione sta proprio nello strumento mai utilizzato nella storia. E ci sarà pure qualche motivo.

A costo di sembrare poco politically correct, fino a quel momento nulla di scandalosamente eversivo era accaduto. Cartelli e tumulti nelle aule parlamentari sono, se non abituali, oramai molto frequenti. Insulti e colluttazioni anche. Inoltre non riesco a scandalizzarmi più di tanto né del cazzotto del questore né del pompinare dei 5Stelle. Semplicemente perché tra cappi, mortadelle e vaiassate della Mussolini, ho visto di tutto e quindi conosco la storia precedente. Poi le cose cambiano, contano i tempi tutt’al più.

Il presidente della Camera Laura Boldrini, in numerose interviste e dichiarazioni, condanna, legittimamente e con estrema durezza, le intemperanze grilline; difende il suo operato ribadendo che altrimenti si sarebbe pagata l’Imu. Cioè il presidente della Camera – con tanti saluti alla terzietà della carica – ammette di aver usato per la prima volta uno strumento che strozza il dibattito nella sua assemblea per parare i problemi del governo, a cui imputa l’eccessivo ricorso ai decreti. Come se fosse compito dei presidenti delle Camere decidere dove dovrebbe cadere l’eventuale biasimo dell’elettorato per quello che l’aula decide nella sua dialettica.

Il giorno dopo i giornali già parlano di squadristi (il fondo del Corriere), di strategia del caos (Repubblica), di grillini squadristi (Renzi sulla Stampa), e di strategia del suicidio per il M5S (il fondo della Stampa). Pensandoci bene è una decisione di tipo politico-editoriale analoga a quella presa dalla presidenza della Camera e del governo: sfruttare l’incidente (del tutto normale, come abbiamo visto) per creare un’eccezionalità, nascondendo per altro la vera notizia, cioè la vera novità politica che è l’utilizzo della ghigliottina. Tutto legittimo sia da un punto di vista giornalistico che politico, ma non “oggettivo” e neutrale.

In quel momento, quel giorno (ricordiamo che siamo ancora al 30 gennaio), vista la passata abitudine, non risultano intemperanze sui social media nei confronti della Boldrini da parte dei deputati 5Stelle. C’è il solo distinguo di quel ‘donna senza dignità’ di Di Stefano, e dei soliti leghisti le cui agenzie riportano il ‘si dimetta subito o sarà il caos’ del solito Salvini. Grillo interviene solo all’una, quando da circa ventiquattro ore è il M5S e non la Boldrini ad essere sotto schiaffo sui media. Solo a questo punto si scatenano i grillini sui blog, su Facebook e su Twitter. Tre ore dopo per Letta è già chiaro che “i pentastellati hanno preso una strada anti-democratica”, “risponderemo alla violenza prevaricatrice”. Poi la politica, con tutte le contrapposizioni possibili e immaginabili, scompare e cede il campo al turpiloquio dissennato. Attenzione però: questo non significa che stia giustificando i grillini tant’è che non tolgo una virgola da quello che ho scritto nei giorni passati sul loro comportamento.

Adesso subentra il mio vero alter-ego politically (in)correct perché io – a differenza dei tanti – non dimentico. Non dimentico la Lega. Non dimentico Calderoli, e non dimentico le cose dette alla Kyenge. Non dimentico le barzellette omofobe di Berlusconi, l’orchidea orcodio sulla Bindi, la culona inchiavabile alla Merkel, e non dimentico nemmeno la Carfagna pompinara della Guzzanti. Non dimentico il clima “normale” che si respirava prima dei grillini. Non dimentico il clima in cui siamo vissuti negli ultimi vent’anni, ridacchiandone ed indignandoci a turni alterni a seconda che la vittima di turno fosse dei nostri o dei loro. Non dimentico che nulla di quanto sopra le righe – i proiettili di Bossi per i magistrati sono meno pesanti degli insulti sessisti? – ha mai impedito qualunque alta autorità dello Stato di accogliere e intrattenere cordialmente ministri e presidenti del consiglio responsabili di parole altrettanto intollerabili che, oggi, nel clima di appeasement post Italicum, devono essere scordate perché siamo tutti baci e abbracci. Non dimentico i processi passati in giudicato e passati nel dimenticatoio perché quei voti servono e quindi non sono eversivi. Non dimentico il vicepresidente del consiglio che invade il tribunale di Milano per impedire che il suo capo venga processato per qualcosa un tantino più concreto degli insulti sessisti. Senza sminuire gli insulti sessisti, ovviamente.

Quindi, per favore, se vogliamo parlare di lotta politica dove nessuno è amico ma al massimo alleato, del “nemico del mio nemico che è mio amico”, del “in amore e in politica tutto è lecito”, ok, ci sto, ognuno porti il suo. Ma se invece la mettiamo sull’eccezionalità e sull’allarme democratico, a quel punto no, io non ci sto più.