Le Olim­piadi di Sochi saranno un premio per Vladimir Putin, un rafforzamento politico momentaneo che terrà solo se – come tutti ci auguriamo – non ci saranno atti terroristici oppure – come possiamo augurarci – contestazioni massicce di atleti che protestano contro le recenti leggi omofobe approvate in Russia. Lo Zar si attende la standing ovation e per ottenerla ha mobilitato tutti i mass-media russi pronti a celebrarne il mito.

Ma la tattica di Putin, al contrario di quello che dice negli incontri ufficiali, è tutt’altro che democratica: far passare sotto silenzio le proteste, sminuirne l’importanza e stemperarne prudentemente gli esiti, qualunque essi siano. Il compito del presidente russo è far diventare il paese una grande potenza sportiva e, di conseguenza, una super potenza politica ed economica. Gli investimenti per queste Olimpiadi invernali parlano chiaro (per quello che vale il termine quando si parla di Putin): una fonte ufficiale parla di un investimento di 214 miliardi di rubli, circa 45 miliardi di euro; un’altra parla invece di 1.300 miliardi, ossia oltre 250 miliardi di euro, che comprende le spese per le infrastrutture in zona. A questo calcolo tutto fantasia, dato che non si sanno i costi esatti, mancano ovviamente i danari spesi per corrotti e corruttori.

La domanda che gira insistentemente nell’ambiente è se un paese ancora in via di sviluppo –  la Rus­sia è il paese più povero tra quelli che hanno finora orga­niz­zato le Olim­piadi inver­nali – possa assumersi costi così elevati per un evento sportivo di tale portata. A titolo esemplicativo possiamo dire che la Russia del 2014 ha un red­dito pro capite pari allo 0,24% di quello ame­ri­cano; l’Italia delle Olim­piadi di Torino, nel 2006, aveva un red­dito pro-capite pari al 63% di quello ame­ri­cano. Ovviamente si può sempre affermare che la Russia è un paese in via di sviluppo ma con le carte completamente in regola per un evento da mondo sviluppato. Ed è certamente un’analisi corretta; ma basta questa affermazione, da sola, per concordare con la tesi? Noi pensiamo di no.

Un paese sviluppato, politicamente e socialmente, non ha bisogno di scrivere delle leggi che diano diritti diversi ai diversi della popolazione. La patria di Putin non è un paese sviluppato come vorrebbe far credere: Rus­sia e Nigeria hanno quasi lo stesso grado di svi­luppo e vigono le stesse leggi omo­fobe; perché la con­danna occi­den­tale verte solo verso la Rus­sia? Tanto più che 30 anni fa anche i cosiddetti paesi svi­lup­pati erano con­tro l’omosessualità (e in parte l’Italia non è ancora arrivata ad un livello tale da considerarsi sviluppata).

Ma le critiche hanno le gambe corte. È noto che per i prossimi mondiali di calcio in Brasile si sono avute proteste durate mesi, con comitati spontanei nati dal nulla per contestare gli alti costi dell’evento in pieno periodo di crisi. In Russia di movimenti così ampi non se ne sono visti granché, tranne pochi e sparuti gruppi nati e defunti nell’arco di ventiquattr’ore.

Putin conosce la pancia del paese, conosce e conferma le aspirazioni dei russi al riscatto nazionale; ne segue le frustrazioni e l’aggressività della maggioranza della popolazione (il 70% degli inter­pel­lati in un recente sondaggio di Levada Center). Quindi l’assunzione di responsabilità nell’investire per le Olimpiadi di Sochi è più che condivisa con la sua gente. È specificatamente della sua gente. Lo Zar ha semplicemente salvaguardato lo spirito conservatore russo con delle iniziative che affermano lo status quo. Sa, poi, che i russi – al pari degli italiani – sono un popolo di sognatori pronti a seguire la gigantomania di chi giura di avere idee grandiose. L’idea grandiosa di Putin è avere uno stato forte e che primeggia nel mondo. La stessa ispirazione storica alla grandezza che anima il popolo russo.