Nella rela­zione dell’Autorità sui con­tratti pub­blici con­se­gnata al Par­la­mento nel 2012, c’è una frase che punta il dito sulla piaga distorsiva generata dalla legislazione in corso: «L’utilizzo di pro­ce­dure nego­ziate senza bando ha avuto una forte acce­le­ra­zione, tanto che que­sto tipo di pro­ce­dura è diven­tata quella più fre­quen­te­mente uti­liz­zata. E que­sto anche in rela­zione alle modi­fi­che appor­tate dal decreto legge 70/2011».

Nel pieno rispetto delle regole, i comuni possono infatti affidarsi a trattative private per gli appalti pubblici fino ad un importo di 500mila euro. L’Autorità afferma che quasi la metà dei contratti di importo al di sopra di 150mila euro (il 48,1%), sono stati affidati a trattative private senza ricorrere alla pubblicazione di bandi pubblici. Il valore complessivo si aggira attorno ai 3,6 miliardi di euro. Non c’è quindi di che meravigliarsi se a L’Aquila è accaduto ciò che è accaduto nel pieno rispetto delle regole.

Per il terremoto abruzzese gli argomenti di cui parlare non riguardano solo le commesse citate sopra, bensì altri due ben più gravi che si tendono comunemente a derubricare come ‘normale caso di disonestà’.

Il primo, risaputo, riguarda le procedure anomale che vengono usate durante le emergenze in deroga ad ogni regola ordinaria: con la scusa della ricostruzione veloce, sono stati affidati appalti pubblici secondo una discrezionalità ancora maggiore rispetto alle già generose leggi ordinarie. I dati forniti nel documento dell’Autorità, ci dicono che le ordinanze di protezione civile nel 2011 sono state 72 per un importo complessivo di 1,98 miliardi di euro. L’emergenza è diventata lo schermo della discrezione.

Il secondo argomento riguarda soprattutto Bruxelles. L’anno scorso, uno dei membri della Commissione di controllo del bilancio dell’UE, il danese Søren Søn­der­gaard, ha pubblicato la relazione dell’indagine durata tre anni sugli sprechi in Abruzzo. Nel report vengono citati appalti sospetti, norme vio­late, fondi comu­ni­tari spesi male, mate­riali sca­denti, Case e Map – i com­plessi anti­si­mici soste­ni­bili ed eco­com­pa­ti­bili e i moduli abi­ta­tivi prov­vi­sori voluti dal governo Ber­lu­sconi – troppo care. Un capitolo a parte è stato dedicato alle infiltrazioni mafiose negli appalti per la ricostruzione della cittadina abruzzese, come denunciavano tutti i giornali anni fa. All’uscita del dossier, il sindaco aquilano Cialente si era difeso dicendo che la relazione era troppo confusa, piena di imprecisioni e che non era vero ci fossero infiltrazioni mafiose.

Volendo essere estremamente ottimisti, possiamo anche dare per buone le risposte del sindaco Cialente. Ma alla luce dei fatti di qualche giorno fa, con l’arresto di quattro persone per tangenti sulla ricostruzione post terremoto, e l’iscrizione nel registro degli indagati del vice sindaco dell’Aquila Roberto Riga, l’estremo ottimismo di prima lascia spazio alla solita rassegnazione tutta italiana del così fan tutti.

Di fronte all’inefficacia del sistema politico, c’è voluta la magistratura a mostrare tutte le lacune che una legge – perfettamente funzionante in molti paesi – in Italia sa invece produrre solo scandali. La vicenda aquilana potrà dare la spinta al cambiamento solo se la classe politica avrà il coraggio di affrontare almeno tre nodi cruciali:

  1. Le regole sugli appalti pubblici vanno riviste perché non esistono più, sono state ormai sostituite dalla discrezionalità politica. Ciò ha comportato uno spreco di denaro pubblico non indifferente, spesso usato dal mondo della politica a suo unico uso e consumo.
  2. Il ruolo guida che la pubblica amministrazione aveva fino a non molto tempo fa, è praticamente scomparso con la cancellazione del programma urbanistico dovuto, principalmente, all’equiparazione pubblico-privato. È ora di invertire la tendenza: pur mantenendo l’attuale legislatura mista, si deve profondamente ricostruire dalle basi la programmazione pubblica, in modo che disastri come quello dell’Aquila – con il centro storico ridotto ad un deserto umano – non succedano più.
  3. Nella legge di stabilità approvata poche settimane fa, i finanziamenti per la ricostruzione dell’Aquila sono stati cancellati e mantenuti, invece, quelli sulle grandi opere. In pratica si continua con la demolizione delle regole: se uno dei mali peggiori dell’Italia è l’eccesso di regole, non si può ribaltare questo eccesso con la discrezionalità che caratterizza la pubblica amministrazione. Eliminare l’eccesso di regole è un conto, aumentare la discrezionalità sull’uso di quelle regole genera corruzione e malaffare. Andrebbe ribaltato il bilancio dello Stato.

Chi porterà la croce sulle spalle?