Il nuovo Comitato per l’intelligenza artificiale e l’editoria (semplificato in Comitato Algoritmi) voluto dal Governo e presieduto da Giuliano Amato, ha il compito di studiare l’impatto dell’AI nel settore e di redigere una relazione entro l’estate 2024. Si tratta di un’iniziativa necessaria, vista la diffusione di sistemi basati sull’AI e le loro conseguenze.

Tuttavia, molti si sono scandalizzati, o addirittura indignati, per la scelta del presidente del Comitato. Un uomo di 85 anni, dicono, non può capire nulla di intelligenza artificiale, non importa quali siano le sue esperienze, le sue competenze, la sua cultura. Basta l’età per condannarlo.

Il Comitato algoritmi inglese

Ma perché dovremmo seguire l’esempio della Gran Bretagna, che ha affidato un incarico analogo a un uomo di 38 anni, Ian Hogarth, un imprenditore che ha creato due start-up sull’AI, un tecnico insomma? Non si capisce quale sia il criterio.

In tutto il mondo si sta cercando di regolamentare l’intelligenza artificiale, in una sorta di corsa, già vinta dalla Cina che ha emanato il suo regolamento nell’estate 2023 e che è entrato in vigore il 15 Agosto 2023.

Il punto di partenza, quasi comune a tutti, è la paura di quello che può succedere, come se fossimo davanti a un abisso o a un salto nel vuoto che ci spinge a cercare le sicurezze che conosciamo e a imporre regole su regole. Se lo scopo del Comitato algoritmi fosse questo, possiamo tranquillamente considerarlo inefficace sin da oggi.

Gli Stati Uniti sono ancora abbastanza indietro e, per ora, stanno facendo riunioni e ascoltando gli esperti, anche se, nel Blueprint for an AI Bill of Rights, hanno già stabilito i principi fondamentali di quella che sarà la loro linea di azione: sicurezza dei sistemi, divieto di discriminazione, rispetto della privacy, trasparenza dei processi e possibilità di avere l’intervento umano. Al centro di tutto c’è l’uomo, tanto che il sottotitolo dell’atto è «affinché i sistemi automatici lavorino per il popolo americano».

AI ACT

L’AI ACT, il regolamento europeo sull’intelligenza artificiale, è un documento di grande importanza e complessità, che cerca di regolare un settore in rapida evoluzione e con grandi sfide etiche e sociali. Il testo, presentato dalla Commissione europea nel 2021 e modificato dal Parlamento europeo nel 2023, conta quasi quattrocento pagine e affronta vari aspetti dell’uso dell’intelligenza artificiale, riconoscendone i benefici ma anche i rischi.

Il regolamento non è ancora entrato in vigore, perché il 24 Ottobre 2023 non si è raggiunto un accordo tra le istituzioni europee e si è deciso di rimandare la discussione al 6 Dicembre.

Il principio fondamentale dell’AI ACT è quello di valutare l’intelligenza artificiale in base al livello di rischio che comporta per i diritti umani e i valori europei. A seconda del rischio, si applicano misure più o meno rigorose e si vietano alcune applicazioni, come l’identificazione biometrica a distanza negli spazi pubblici, i sistemi predittivi basati sul passato e i sistemi di riconoscimento delle emozioni.

Un approccio basato sul rischio

Il regolamento richiede anche che l’intelligenza artificiale sia trasparente sul suo funzionamento e sul suo addestramento, e che segnali quando un contenuto è stato generato senza l’intervento umano. Inoltre, l’intelligenza artificiale deve evitare di creare contenuti illegali o dannosi.

Il quadro normativo definisce 4 livelli di rischio nell’AI:

  • Rischio inaccettabile
  • Rischio elevato
  • Rischio limitato
  • Rischio minimo o nullo

Per garantire il rispetto delle norme, l’AI ACT prevede la creazione di un’Autorità per l’Intelligenza Artificiale in ogni Paese e la nomina di un Artificial Intelligence Officer in ogni impresa che sviluppa AI. Questa figura è simile al DPO (Data Privacy Officer) previsto dal GDPR. L’intelligenza artificiale deve essere accompagnata da un documento analogo alla DPIA (Data Protection Impact Assessment) prevista per la privacy e da misure di sicurezza, controlli interni e procedure per evitare sanzioni.

L’AI ACT si definisce “antropocentrico”, perché vuole che l’intelligenza artificiale sia al servizio dell’essere umano e non contro di esso. Si tratta di un regolamento ambizioso e innovativo, che potrebbe fare da modello per il resto del mondo.

L’AI socialista

Il Regolamento cinese mette al primo posto il socialismo, ma non trascura i principi di trasparenza, privacy, non discriminazione e intervento umano per i sistemi di AI. Inoltre, richiede una valutazione dei rischi prima di implementare l’intelligenza artificiale.

Insomma, quello che vorrebbe essere l’AI Act e che il Comitato algoritmi dovrebbe considerare come principio in ogni sua discussione, e ratifica, prima dell’approvazione definitiva del prossimo anno.

L’AI antropocentrica

Molti hanno una visione antropocentrica dell’AI, pensando che sia una minaccia per l’umanità e che un giorno possa dominarci. Questa visione ignora le critiche e i danni che l’antropocentrismo ha causato nel passato. Io credo invece che l’AI sia una grande opportunità di crescita e di evoluzione per l’umanità, a condizione che si affrontino i rischi con il diritto.

E sono quindi d’accordo con Yann LeCun, esperto di AI e premio Turing 2018. In un’intervista a Repubblica ha detto che «essere intelligenti non vuol dire avere voglia di dominare. Il mito della superintelligenza cattiva deriva dal fatto che una macchina intelligente sia proprio come noi. Ma non è così».

LeCun ammette che l’AI ha ancora dei limiti, dovuti al fatto che si basa sul linguaggio e su altri strumenti umani per apprendere. Ma il suo obiettivo è far sì che l’AI possa imparare dall’esperienza, costruire modelli e usare la sua intelligenza per risolvere problemi e aumentare le capacità cognitive dell’uomo.

Non vogliamo che la tecnologia ci sfugga di mano, ma neanche che ci freni la creatività. Per questo dobbiamo tenere d’occhio i progressi, prevenire gli abusi, ma anche fidarci di chi la sviluppa e la studia. Il diritto non deve mettere troppi paletti ai tecnici, ma solo garantire l’etica, la libertà e i diritti fondamentali.

L’età non conta

Giuliano Amato, Presidente della Corte costituzionale

In questo scenario, l’età non fa differenza, ma le persone sì. E mi piace immaginare che a guidare il Comitato algoritmi ci sia Giuliano Amato, un uomo di 85 anni che ha dedicato la sua vita a capire i fenomeni giuridici, sociali, morali e che unisce alla sapienza la saggezza dell’età.

È un modo di pensare che parte dalla cultura di ognuno di noi. Per esempio, se in base all’etica i progettisti di auto a guida autonoma dovessero scegliere tra investire un bambino o un anziano, un occidentale probabilmente salverebbe il bambino perché ha tutto il futuro davanti. Ma un orientale forse salverebbe l’anziano, perché ha una saggezza e una competenza che si conquistano solo con gli anni, mentre un bambino è tutto da educare.

Una nuova coscienza e tanta saggezza

Ci aspetta un mondo completamente nuovo, dove forse ci innamoreremo di un robot, lavoreremo al suo fianco e dove non sarà facile spiegare a un bambino che il suo cagnolino-robot è solo una macchina pericolosa con una relazione sui rischi, invece che il suo amico più caro.

Per affrontare tutto questo, abbiamo bisogno non solo e non tanto di regole tecniche, ma di una nuova coscienza e di tanta saggezza. Ben venga, quindi, un Comitato algoritmi presieduto da un ottantacinquenne.