Gli eventi che hanno portato all’attuale conflitto tra Israele e Hamas in Palestina affondano le loro radici nell’antichità e nelle sacre scritture ebraiche, le quali rivendicano questa terra come quella promessa da Dio al popolo ebraico. Questa prospettiva costituisce un pilastro fondamentale dell’identità nazionale di Israele ma ha anche contribuito notevolmente alle tensioni con la popolazione palestinese autoctona.

Israele e Palestina, dove tutto nacque

Dopo la Prima guerra mondiale, l’Impero Ottomano si dissolse e la Palestina passò sotto il mandato britannico. L’immigrazione ebraica crescente, spinta dalle persecuzioni e dai pogrom in Europa orientale, insieme alla dichiarazione Balfour del governo britannico nel 1917 a favore di una “patria nazionale per il popolo ebraico”, ha notevolmente aumentato le tensioni con le comunità arabe locali.

Molti, però, ritengono che l’inizio del conflitto attuale risalga al 1947, quando le Nazioni Unite votarono per la spartizione del mandato della Palestina in due Stati: uno ebraico (Israele) e uno arabo (che non si concretizzò). La lotta tra gruppi armati ebrei – alcuni dei quali erano considerati terroristi dai britannici – e i palestinesi si intensificò fino alla dichiarazione di indipendenza di Israele nel maggio 1948.

La guerra e la nakba

La nascita di Israele scatenò una guerra con i confinanti paesi arabi, tra cui l’Egitto, l’Iraq, la Transgiordania e la Siria. Israele espulse o fece fuggire circa 700.000 palestinesi, che rappresentavano approssimativamente l’85% della popolazione araba presente nel territorio conquistato. Tel Aviv non ha mai autorizzato quei palestinesi a ritornare. Questo evento drammatico, noto come “nakba” o “catastrofe” rappresenta ancora oggi un punto centrale nella storia moderna del popolo palestinese.

Gli arabi che rimasero in Israele e ottennero la cittadinanza furono soggetti a discriminazioni per quasi due decenni, con la privazione di molti dei loro diritti civili fondamentali.

La nascita dell’OLP e la Guerra dei Sei Giorni

Nel 1964, una coalizione di gruppi palestinesi guidata da Yasser Arafat fondò l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Il loro obiettivo di stabilire uno stato arabo al posto di Israele attraverso la lotta armata. L’OLP catturò l’attenzione internazionale grazie a attentati e dirottamenti di rilevanza internazionale.

Nel 1967, Israele sospettò che Giordania, Egitto e Siria fossero pronti ad invadere e decise di lanciare quello che dichiarò essere un attacco preventivo. Durante la Guerra dei Sei Giorni, Israele occupò i territori palestinesi di Gerusalemme Est, Cisgiordania e Gaza, oltre alla penisola del Sinai, stabilendovi numerosi nuovi insediamenti. L’occupazione israeliana dei territori palestinesi ebbe un profondo impatto sulla vita quotidiana dei palestinesi e fu ampiamente condannata dalle Nazioni Unite.

I rifugiati palestinesi

Nel 1981, Israele restituì la penisola del Sinai all’Egitto, in seguito a una serie di accordi che portarono alla morte dell’allora presidente egiziano Anwar el-Sadat. Nonostante questo avvenimento, la questione dei rifugiati palestinesi rimase irrisolta, costituendo una delle principali sfide in sospeso. Milioni di palestinesi si trovavano nei campi profughi situati in diverse nazioni confinanti, affrontando condizioni di estrema miseria.

Per due decenni, Israele aveva considerato la popolazione palestinese sotto il suo controllo come largamente sottomessa, continuando con le politiche di espansione coloniale e espropriazioni in Cisgiordania. I palestinesi, impiegati come forza lavoro economica all’interno del territorio israeliano, smentirono bruscamente questa percezione nel dicembre 1987, quando scesero nelle strade per ribellarsi all’occupazione israeliana. Questa rivolta, nota come “Intifada”, fu caratterizzata da arresti di massa, una repressione severa da parte di Israele e l’arresto e l’uccisione di centinaia di palestinesi accusati di spionaggio da parte dell’Olp.

Gli Accordi di Oslo

La causa palestinese raggiunse una visibilità globale, rafforzando la posizione di Yasser Arafat, che divenne un leader con cui trattare seriamente, inclusa la possibilità di una soluzione a due Stati con Israele. Nel 1993, iniziarono colloqui segreti tra Israele e l’Olp, che portarono agli storici Accordi di Oslo. Questi accordi istituirono l’Autorità Nazionale Palestinese e concedettero l’autogoverno in alcune parti della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Mentre alcuni palestinesi di spicco considerarono questi accordi come una forma di resa, settori estremisti all’interno di Israele si opposero alla cessione di insediamenti e territori.

I futuri primi ministri Ariel Sharon e Benjamin Netanyahu, figure di spicco dell’opposizione interna a Oslo, parteciparono a comizi durante i quali diffusero raffigurazioni diffamatorie dell’allora presidente israeliano Yitzhak Rabin. La vedova di Rabin incolpò queste figure per l’assassinio del marito, avvenuto nel 1995 per mano di un estremista nazionalista israeliano.

La seconda Intifada e la vittoria di Hamas in Palestina

Il fallimento delle trattative di pace nei colloqui di Camp David del 2000 tra il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, il primo ministro israeliano Ehud Barak e Arafat, contribuì all’innesco della seconda Intifada. Quest’ultima si caratterizzò, a differenza della prima, per una serie di attentati suicidi perpetrati dai palestinesi. Arafat era già morto quando nel 2005 il primo ministro Sharon acconsentì a smantellare numerosi insediamenti ebraici in Palestina. In questo periodo, persero la vita oltre 3.000 palestinesi e circa 1.000 israeliani. L’ostilità tra le due parti diventò insanabile, e la costruzione di un intricato sistema di muri in Cisgiordania non fece che peggiorare la situazione.

Per quanto riguarda Gaza, nel 2006 il partito islamista radicale Hamas, dopo una lunga guerra civile con l’OLP, vinse le elezioni, rendendo la situazione più complicata per i palestinesi nella Striscia. Israele impose un embargo totale sull’enclave, esercitando un controllo continuo sullo spazio aereo e sulle acque territoriali, il che ebbe gravi ripercussioni sull’economia palestinese.

Anche se i governi occidentali continuano ufficialmente a sostenere una soluzione a due Stati, non si sono registrati progressi significativi verso un accordo che lo renda effettivo. Il primo ministro israeliano Netanyahu, uno dei più longevi nella storia del paese, si è dichiarato più volte contrario a uno Stato palestinese, e vari membri del suo governo sostengono apertamente l’annessione di tutta o parte della Cisgiordania. Gruppi per i diritti umani, sia israeliani che stranieri, hanno descritto la situazione nei territori occupati come assimilabile all’apartheid. Tutto ciò rappresenta uno stato delle cose, al di là delle cronache.