Lo confesso: in questa Italia mi sento profondamente in imbarazzo. Forse dovremmo farlo tutti, prima che qualcuno dica che l’imbarazzo sia un reato.

L’Esecutivo, in una campagna elettorale perenne, ha reso gli scontri e gli slogan dissennati la sua cifra stilistica. Quando tutti sono d’accordo a intervenire su qualcosa, il governo si nasconde dietro un dito e non interviene.

Lo confesso: in questa Italia mi sento profondamente in imbarazzo. Mi imbarazza il fatto che su uno dei provvedimenti chiave degli ultimi anni, ovvero il Superbonus edilizio, si assista a posizioni non solo opposte ma anche del tutto inconciliabili da parte di ministri e leader politici. In un Paese ricco di competenze, a partire dalla Banca d’Italia, è sconcertante che chi ci governa non riesca a elaborare un’analisi obiettiva dei vantaggi e svantaggi di questa misura da condividere in trasparenza con i cittadini, che, per la maggior parte, non hanno una formazione economica.

Confesso che mi disturba

il fatto che ancora oggi un vicepresidente del Consiglio, noto per aver portato il suo partito dal 34% delle elezioni del 2019 al 9% del 2022, per le sue relazioni pericolose con Marine Le Pen e per la sua inefficacia come ministro, mantenga la sua posizione e goda del sostegno di alcuni.

È sorprendente che un alto ufficiale in servizio, sebbene decorato con medaglie meritate, si consideri in grado di decidere chi può essere considerato veramente italiano, ignorando la Costituzione, la legge e l’anagrafe.

Sono sconcertato

che un ex presidente del Consiglio, la cui proposta di riforma costituzionale è stata respinta da una larga maggioranza elettorale, abbia contribuito a distruggere dall’interno una formazione politica di sinistra e abbia poi intrapreso percorsi politici che vanno da improbabili tentativi di formare coalizioni saudite a alleanze centriste fallimentari fino alla proposta di una riforma costituzionale sul premierato a braccetto con la destra.

È difficile comprendere come un altro ex presidente del Consiglio, attualmente Commissario per gli affari economici nell’Unione Europea, possa essere il punto di attrito tra il governo italiano e l’Europa, con richiami al patriottismo ma senza considerare adeguatamente il suo dovere di servire onestamente e con competenza l’Europa, inclusa l’Italia, nel ruolo che ricopre.

E confesso che mi colpisce

profondamente l’incessante pettegolezzo, spesso privo di comprensione, che circonda un altro ex presidente del Consiglio e della Corte Costituzionale. Questo accade quando ha cercato di ricordare agli italiani il tragico disastro aereo di Ustica, con il suo pesante tributo di vite perdute. Quel tragico evento sembra essere stato la conseguenza preterintenzionale di una manovra di aerei NATO legata al passaggio di aerei libici sul Tirreno, uno dei quali poi precipitò nella Sila. Sorprendentemente, a distanza di oltre quarant’anni, mancano dati precisi sulle attività aeree vicino all’aereo Itavia abbattuto, dati che potrebbero essere rivelati dalla NATO o da alcune delle sue componenti, come la Francia e l’Italia. Eppure, tutti rimangono ostinatamente in silenzio.

Non dovremmo forse considerare questo silenzio come un forte indizio che la NATO non ha fatto solo “cose buone”? Non dovremmo interrogarci se la fedeltà incrollabile e acritica alla NATO sia veramente la scelta migliore, specialmente mentre la guerra torna a minacciare l’Europa?

Confesso ancora una volta

che è difficile accettare che in un momento storico così complesso, con esiti incerti nella guerra russo-ucraina, il crescente rischio di utilizzo di armi atomiche, il flusso incessante di migranti, la crisi climatica, nuove forme di povertà e tensioni sociali, l’attenzione politica in Italia si concentri principalmente su una campagna elettorale perpetua. Il dibattito sembra concentrarsi su slogan spesso privi di senso anziché su diagnosi concrete e proposte di governo. Il settore della sanità pubblica è in difficoltà, e la pandemia sembra non aver insegnato nulla a nessuno. La ricerca scientifica fatica a causa di finanziamenti insufficienti, e molti dei nostri migliori studiosi sono costretti a emigrare. Il sistema scolastico è sovraccaricato da continue micro-riforme che non vengono accompagnate da investimenti adeguati né da una vera anima educativa.

Domani per un buon governo

In più, dato il fallimento dell’autonomia regionale in Sicilia, specialmente per quanto riguarda la tutela dei beni culturali e del paesaggio, è sorprendente vedere regioni di diversi orientamenti politici lottare per ottenere lo stesso tipo di autonomia, spesso con il consenso del governo centrale.

Tutti sembrano concordare che la legge elettorale sia inadeguata, ma nessuno sembra fare un passo concreto per cambiarla. I membri del governo e delle opposizioni si impegnano in gaffes imbarazzanti, ma chi fornirà una visione a lungo termine, proposte creative e progetti complessi che vadano al di là del rumore di fondo che ci circonda? Quando smetteremo di rimandare il buon governo al domani, in attesa di riforme costituzionali più o meno raccomandabili, invece di concentrarci su una governance efficace fin da ora?

Forse è giunto il momento di confessare questa situazione. Dovremmo farlo, prima che qualcuno dica che l’imbarazzo sia un reato.