Cosa sta succedendo nel mondo? La guerra in Israele, le tensioni tra le grandi potenze, le sfide dell’iper-globalizzazione. Negli ultimi tempi, il mondo sembra essere diventato un luogo più pericoloso e instabile.

La guerra in Israele, che ha causato centinaia di morti e migliaia di feriti tra palestinesi e israeliani, è solo l’episodio più recente di una serie di conflitti e crisi che hanno scosso il pianeta. Alcuni di questi sono scoppiati o riemersi con violenza, come la guerra civile in Siria, la crisi nucleare con l’Iran, la disputa territoriale tra Armenia e Azerbaigian. La rivalità tra Cina e Stati Uniti, la sfida della Russia alla NATO e la minaccia della Corea del Nord non sono ancora sfociate in un conflitto militare, ma sono molto intense dal punto di vista economico e diplomatico.

Il costo del business as usual

Questi anni Venti sembrano segnare una svolta rispetto agli ultimi decenni, in cui il mondo era dominato da un ordine unipolare guidato dagli Stati Uniti e da una mentalità “business as usual” basata sull’iper-globalizzazione. In quegli anni, pur non mancando eventi traumatici come l’11 settembre, la crisi finanziaria del 2008 o la pandemia di Covid-19, sembrava che nessuno potesse o volesse mettere in discussione lo status quo globale.

Tuttavia, già nella scorsa decade si erano manifestati dei segnali di cambiamento e di frattura in questo equilibrio. L’ascesa di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, la Brexit che ha portato il Regno Unito fuori dall’Unione Europea, le guerre commerciali tra Cina e Stati Uniti, la deriva autoritaria di Putin in Russia, Modi in India e Xi Jinping in Cina sono solo alcuni esempi di come il mondo stesse entrando in una fase di transizione e di incertezza.

Ora questi nodi, e altri che forse avevamo trascurato o dimenticato come la questione palestinese, si stanno sciogliendo o ingarbugliando ulteriormente e ci costringono a riflettere: verso che tipo di mondo ci stiamo dirigendo? E soprattutto: quanto ci costerà questo mondo, in termini economici, politici e culturali?

Un mondo diviso

Il meeting del Fondo monetario internazionale a Marrakech si è interrogato sulle conseguenze delle guerre e delle tensioni geopolitiche sull’economia globale. Le previsioni non sono positive: i conflitti in corso e il frazionamento tra le grandi potenze potrebbero avere effetti negativi sul prezzo del petrolio, sull’inflazione e sul commercio internazionale. In questo post analizziamo i dati e le stime dell’Fmi e cerchiamo di capire come affrontare le sfide del mondo diviso.

Le guerre hanno un costo elevato, non solo in termini di vite umane, sofferenze e distruzioni, ma anche in termini economici. Lo sappiamo bene in Europa, dove la guerra in Ucraina ha avuto ripercussioni sul mercato dell’energia, aumentando i prezzi e l’inflazione. Lo stesso potrebbe succedere con la guerra in Israele, che minaccia la stabilità di una regione cruciale per la produzione e il trasporto del petrolio.

L’Fmi ha stimato che un conflitto prolungato in Medio Oriente potrebbe far salire il costo del petrolio del 10 per cento a livello globale, con un impatto inflazionistico dello 0,4 per cento. Questo si aggiungerebbe ad altri fattori di rischio, come la pandemia, il cambiamento climatico e la scarsità di risorse.

Il frazionamento geopolitico

Ma non sono solo le guerre dirette a preoccupare gli economisti dell’Fmi. C’è Il crescente frazionamento geopolitico derivato dalla competizione tra Stati Uniti e Cina per l’egemonia mondiale. Questo frazionamento si traduce in sanzioni, sussidi, protezionismi e restrizioni che ostacolano il libero scambio e la cooperazione internazionale.

L’Fmi ha calcolato che il conflitto commerciale tra Stati Uniti e Cina ha ridotto il prodotto interno lordo mondiale dello 0,8 per cento nel 2019 e potrebbe ridurlo di un altro 0,3 per cento nel 2023. Inoltre, il frazionamento geopolitico potrebbe compromettere la capacità di affrontare sfide globali come il cambiamento climatico e la povertà.

Come uscire da questa situazione? L’Fmi propone una serie di raccomandazioni per rafforzare la cooperazione multilaterale, riformare il sistema commerciale internazionale, promuovere lo sviluppo sostenibile e inclusivo e prevenire i conflitti. Si tratta di obiettivi ambiziosi ma necessari per garantire la pace e la prosperità nel mondo diviso.

Le filiere

Un modo per capire il sistema economico globale è immaginarlo come una tela di vasi comunicanti sparsi per il mondo. Questi vasi sono le cosiddette filiere, che collegano tra loro diversi mercati e attività economiche. Le filiere partono dalle materie prime e dalle commodity, che sono i beni di base scambiati sul mercato internazionale. Poi passano ai sistemi di produzione e ai mercati del lavoro, dove si trasformano i beni in prodotti finiti o intermedi. Infine arrivano ai mercati della distribuzione e della vendita, dove i prodotti raggiungono i consumatori finali. Per collegare tutti questi vasi comunicanti ci sono dei sistemi complessi e intricati, tra cui la logistica, che spesso trascuriamo. La logistica è l’insieme delle attività che permettono il trasporto, lo stoccaggio e la consegna dei beni lungo le filiere.

Quando il sistema economico globale funziona bene, questa interdipendenza tra le filiere è una fonte di efficienza economica. Le filiere permettono di sfruttare le economie di scala, i guadagni di specializzazione e le opportunità di mercato. Ma quando il sistema economico globale entra in crisi, questa interdipendenza diventa anche un fattore di vulnerabilità. Le filiere trasmettono gli shock e le turbolenze da un vaso comunicante all’altro.

L’industria dei chip

La guerra tecnologica tra Cina e Stati Uniti nel settore dei chip è un esempio di questo fenomeno. Per rallentare lo sviluppo cinese nel settore, gli Stati Uniti hanno imposto restrizioni all’esportazione di determinati materiali, competenze e strumenti. Questa mossa non riguarda solo la Cina e gli Stati Uniti, ma ha anche delle ripercussioni su tutta l’economia mondiale..

Infatti, la filiera dei chip coinvolge molti altri paesi e regioni. L’analista Carlos Solar ha spiegato, in un recente episodio del podcast Global Security Briefing, che una guerra tecnologica tra Cina e Stati Uniti potrebbe avere delle conseguenze sulle miniere sudamericane e sulle loro comunità locali, perché il litio, indispensabile per la produzione dei chip, viene estratto principalmente in Sud America.

Una rete interconnessa

Questo è solo uno dei tanti esempi che mostrano come il sistema economico globale sia una rete complessa e interconnessa di filiere. Per comprendere meglio le dinamiche economiche globali, dobbiamo quindi tenere conto di tutti i vasi comunicanti che le compongono.

Le tensioni nel settore minerario rendono incerta la domanda futura di materie prime e frenano gli investimenti di paesi e gruppi. Questo comporta, nel lungo periodo, un aumento dei costi e anche altri problemi. Alcuni Stati, infatti, possono sfruttare la loro disponibilità di materie prime cruciali come una leva di scambio geopolitico ed economico in un contesto di politicizzazione degli scambi. Questa situazione può generare nuovi frazionamenti e tensioni, alimentando un circolo vizioso. In pratica è il gatto che si morde la coda.

Una nuova cortina di ferro

Quello dei chip è solo un esempio tra i molti disponibili. Queste storie alimentano la popolarità di termini come de-globalizzazione, geo-frammentazione e simili. Qualcuno la chiama la nuova “cortina di ferro” con il mondo diviso in due sfere economiche e politiche ben distinte, una legata alla Cina e l’altra agli Stati Uniti.

L’Fmi ha stimato che l’economia globale in questo scenario perderebbe circa il 7 per cento, come se sparisse l’economia di Germania e Francia insieme. Ma dobbiamo essere così pessimisti? Su Treccani si parla di “post-globalizzazione”. Forse è meglio dire che non si tratta di una inversione del sistema economico precedente ma di un suo superamento.

Verso quale modello?

Verso un modello che si baserà ancora su infrastrutture e processi globali come le filiere (troppo convenienti e complesse per essere abbandonate) ma che darà priorità alle esigenze della politica rispetto alle opportunità dell’economia (mentre prima era il contrario). Su questioni delicate come la sicurezza alimentare o le tecnologie più innovative, i frazionamenti si accentueranno (lo ha detto anche l’Fmi) ma saranno sempre più selettivi e politicamente motivati.

I “costi del mondo diviso” aumenteranno e influiranno sull’inflazione – e mostreranno, come sostiene l’economista Francesco Saraceno nel suo libro Oltre le banche centrali, la limitazioni delle sole misure monetarie per contrastarla – ma sembra difficile, per ragioni pratiche, arrivare alla “cortina di ferro” che l’Fmi evoca come un fantasma.