I tentativi di bloccare i flussi migratori sono stati sconfitti dalla logica emergenziale. Questo approccio ha ostacolato la gestione di un fenomeno inevitabile, che richiede una risposta strutturata e pianificata. Anche il governo Meloni ha riconosciuto la necessità di un aumento dei migranti, in linea con le politiche di integrazione adottate da altri paesi europei. In questo momento una condivisione strutturale europea è esclusa. Non c’è mai stata una vera disponibilità da parte degli Stati membri, e ora, con milioni di rifugiati ucraini da gestire, a nessuno importa dei 132.000 sbarchi sulle coste italiane di quest’anno. Però ogni governo italiano ha messo in campo opzioni, dati e strategie che avrebbero creato la magia.

E allora vediamole, cerchiamo di mettere in fila le strategie e le opzioni messe in campo finora e vediamo se e come hanno funzionato.

Blocco navale per i migranti

Il tentativo di imporre un blocco navale si è rivelato inefficace e confuso: senza nemmeno la localizzazione precisa in mare in cui dovrebbe essere attuato non ha minimamente senso.

Ostacolare le Ong, poi, non ha prodotto i risultati sperati: le partenze continuano e la rinuncia ai soccorsi in mare per concentrarsi sulla lotta ai trafficanti ha causato tragedie come quella di Cutro. Sono state proprio le operazioni di polizia a terra a spingere i trafficanti a manovre pericolose che avrebbero potuto essere facilmente evitate.

Pagare per trattenerli

La strategia di pagare regimi non democratici per trattenere i migranti, anche qui, non ha dato risultati. È solo un tappo, e come tutti i tappi prima o poi salta. Dal 2016 l’UE ha dato oltre 10 miliardi di euro alla Turchia per bloccare i migranti siriani, ma non sappiamo se sia stata una scelta economicamente sensata.

Anche il pagamento ai trafficanti libici da parte dell’Italia in questi anni ha solo aumentato il loro potere di ricatto. Allo stesso modo, la Tunisia di Saïed sta usando i migranti come strumento di negoziazione con l’UE e il FMI, dimostrando che questa strategia è valida per loro ma controproducente per noi. E sicuramente non è un paese civile quello che chiede cinquemila euro per non finire al Cpr.

Governi instabili

L’idea di sostenere i governi africani per fermare il flusso migratorio è limitata dall’instabilità di questi stessi governi, che più delle volte rendono l’investimento inefficace. Anche l’approccio militare ha le sue sfide: interventi diretti in Africa contro i trafficanti richiederebbero violazioni della sovranità territoriale e delle convenzioni internazionali.

E poi, avete idea di quanto costerebbe sia economicamente che, soprattutto, in vite umane?

Centri di permanenza migranti

Gli annunci e le promesse di costruire centri di permanenza temporanei possono influenzare la domanda di migrazione, ma non affrontano le radici profonde del problema. La decisione di migrare è spesso una risposta disperata a condizioni insopportabili, e scoraggiarla richiederebbe molto più di slogan e urla da un palco. Mentre si cerca una soluzione, è essenziale capire che l’assistenza allo sviluppo in Africa non può essere la panacea per tutti i mali.

La rimozione dei migranti illegali è un problema complesso, richiede la cooperazione dei paesi d’origine che senza dubbio faranno molta resistenza. La soluzione non è semplice, se ne stanno rendendo conto anche Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Anche se il leghista sembra più stupito delle motivazioni.

E se li facessimo entrare?

Domanda provocatoria, ma non certo priva di fondamento.

I migranti che cercano di entrare in Italia risultano spesso poco qualificati e poco integrabili. La loro istruzione si attesta a livelli inferiori non solo rispetto agli italiani ma anche in confronto ai migranti che scelgono altri paesi europei come loro destinazione. Questa situazione, di conseguenza, tende a tradursi in una maggiore disoccupazione e nell’abbandono precoce del percorso scolastico.

Un approccio più strutturato alla gestione dei flussi migratori, che si discosti dalla logica dell’emergenza perpetua, potrebbe costituire un valido strumento per affrontare in modo sicuro gli sbarchi. Naturalmente richiederebbe l’assunzione di un numero adeguato di operatori sanitari, mediatori culturali e specialisti della logistica, creando così nuove opportunità lavorative all’interno del contesto italiano.

L’implementazione di un sistema permanente per la gestione dei flussi potrebbe contribuire ad evitare situazioni come quella di Lampedusa, caratterizzata da sovraffollamento e tensioni. In questa prospettiva, si potrebbero attuare salvataggi in mare seguiti dalla redistribuzione dei migranti su tutto il territorio, prevalentemente in aree predisposte strutturalmente per l’accoglienza e l’identificazione.

Ma la questione non si esaurisce qui. È essenziale garantire che coloro che hanno diritto all’asilo lo ottengano, ma allo stesso tempo è fondamentale offrire opportunità di lavoro ai restanti migranti. Ciò andrebbe a vantaggio di tutte le parti coinvolte.

Gestione dei flussi

Non lo dico io, lo dice lo stesso governo Meloni che recentemente ha rivisto i flussi d’ingresso autorizzati per i prossimi tre anni e ha comunicato che ogni anno mancheranno oltre 100.000 migranti. Ciò suggerisce che la sostenibilità di un sistema di gestione dei flussi più strutturato è un tema di attuale rilevanza, affrontato – e affrontabile – anche dalle istituzioni stesse.

Il comunicato del Consiglio del 6 luglio dichiara: “Per il triennio 2023 – 2025, il Governo prevede complessivamente 452.000 ingressi, rispetto a un fabbisogno rilevato di 833.000 unità.” Tuttavia, non viene spiegato il motivo di questa volontà di creare una persistente carenza di forza lavoro.

Persino i ministri di questo governo sono in grado di fare addizioni e sottrazioni. Quanti migranti mancano all’Italia nel 2023? La cifra si attesta a 138.800. E quanti sono giunti fin qui via mare? Il loro numero è di 132.729.

È evidente che la compensazione sia approssimativa, ma ciò indica che, dal punto di vista della quantità, non esiste un autentico problema migratorio in Italia. Il problema risiede piuttosto nel calcolo complessivo, non nella quantità di immigrati presenti sul territorio italiano.

In altre parole, la questione non riguarda i migranti in sé, ma piuttosto le decisioni dei politici italiani che trasformano il loro arrivo in un caos che danneggia sia i migranti che gli italiani.