Il 15 agosto 2021 i talebani riconquistarono Kabul, ponendo fine a vent’anni di occupazione occidentale dell’Afghanistan. Da allora, il paese è tornato in una profonda crisi umanitaria con milioni di persone costrette a fuggire dalle proprie case: in due anni l’Afghanistan è diventato una delle principali nazioni per numero di rifugiati, insieme alla Siria e all’Ucraina.

Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), a febbraio 2023 erano circa 2,6 milioni gli afghani fuggiti all’estero. Di questi, la maggior parte (1,4 milioni) si trova in Pakistan, mentre 780.000 si sono rifugiati in Iran. Un altro milione di afghani sono sfollati interni, ovvero hanno lasciato la propria casa ma non hanno varcato i confini del paese.

Negli Stati Uniti e in Canada, circa 100.000 rifugiati afghani hanno ricevuto un visto di immigrazione o di asilo. In Europa, invece, sono stati accolti circa 380.000 rifugiati.

I rifugiati afghani non hanno diritti

Gli afghani che sono riusciti a fuggire all’estero si trovano in una situazione di limbo. Molti di loro hanno ottenuto lo status di rifugiato, ma non hanno ancora accesso a tutti i diritti e le libertà fondamentali. Inoltre, la situazione politica in Europa sta diventando sempre più difficile per i profughi: l’estrema destra è in ascesa o stabile in molte delle principali destinazioni dei rifugiati, come la Scandinavia, la Germania e la Francia. Questo sta rendendo più difficile per gli afghani in fuga ottenere una residenza permanente.

La crisi umanitaria in Afghanistan si è aggravata anche a causa della pandemia di COVID-19, che ha messo a dura prova il sistema sanitario nazionale.

La dura vita delle donne afghane

In Afghanistan, le donne sono le più oppresse. I talebani, come nel loro primo governo tra il 1996 e il 2001, le esclude dalla sfera pubblica e nega loro i diritti fondamentali.

Negli ultimi due anni, le donne afghane non possono più andare a scuola dopo aver compiuto i 12 anni, non possono viaggiare in aereo senza un accompagnatore maschio, né andare nei parchi, giardini, palestre e bagni pubblici. Devono indossare il burqa nei luoghi pubblici, non possono frequentare i saloni di bellezza e non possono lavorare per organizzazioni internazionali.

La pressione internazionale e i cambiamenti sociali hanno fatto ben poco per migliorare la situazione. L’oppressione delle donne va di pari passo con un irrigidimento del regime talebano: le esecuzioni extragiudiziali sono in aumento (237 secondo Manua, la Missione di assistenza delle Nazioni unite in Afghanistan), la legge della sharia è applicata con maggiore severità e Radio Free Europe-Radio Liberty è stata censurata.

L’economia in crisi

Prima dell’ascesa al potere dei talebani, il governo afghano si basava per il 75% sugli aiuti internazionali. Questi aiuti rappresentavano anche il 40% del PIL del paese. Ora, con la partenza degli Stati Uniti e dei suoi alleati, il governo talebano deve far fronte a una crisi economica senza precedenti.

Il congelamento delle riserve della Banca Centrale afghana da parte degli Stati Uniti ha aggravato la situazione. Il governo talebano sta cercando di compensare le perdite con un aumento delle esportazioni, ma è un compito difficile.

Inoltre, il paese è stato colpito da una serie di catastrofi naturali – i 1.000 morti e oltre 1.500 feriti del terremoto al confine con il Pakistan e le inondazioni nella provincia di Wardak – che hanno reso ancora più difficile la vita dei cittadini afghani.

Dal punto di vista politico, l’Afghanistan è diviso tra due fazioni: una maggioritaria, guidata dall’emiro Habaitullah Akhundzada, che è contrario a qualsiasi compromesso, e una minoritaria, più moderata, che è disposta a dialogare con la comunità internazionale.

La crisi economica e le divergenze tra le due fazioni potrebbero indebolire il regime talebano. Ma purtroppo, secondo gli analisti, i moderati sono pochi e non esistono movimenti organizzati che possano seriamente minacciare il governo.

Il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan

A due anni dal caotico ritiro statunitense dall’Afghanistan, l’amministrazione Biden ha cercato di dare la colpa all’accordo di Doha del 2020 che Trump aveva firmato con i talebani. L’accordo prevedeva che, se il regime avesse rispettato una serie di condizioni – tra cui astenersi dall’attaccare le truppe statunitensi e tagliare i legami con i gruppi terroristici -, gli Stati Uniti avrebbero ritirato le proprie truppe dal Paese entro maggio 2021.

Joe Bidensubentrato a Trump nel gennaio 2021, si trovava di fronte a una scelta difficile: da una parte, i talebani si erano rinforzati e gli Stati Uniti non avevano più la forza per contrastarli. Dall’altra parte, abbandonare l’accordo avrebbe potuto portare a un nuovo conflitto e decine di milioni di rifugiati afghani oltre i confini. Si decise quindi per il ritiro.

L’amministrazione Biden non però ha consultato adeguatamente gli alleati occidentali e i servizi di intelligence non hanno previsto il rapido collasso dell’esercito afghano. Biden immaginava un ritiro ordinato e graduale, ma la situazione si è rapidamente deteriorata e gli Stati Uniti hanno dovuto evacuare in fretta e furia migliaia di cittadini afghani che oggi sono rifugiati in cerca di una casa.

Una distrazione strategica

In un’epoca di informazione globale, il fallimento del ritiro americano dall’Afghanistan è stato visibile a tutti. In pochi giorni, il governo afghano si è sgretolato e i talebani hanno ripreso il controllo del paese. Le immagini di persone ammassate all’aeroporto di Kabul, in fuga dalla guerra, hanno fatto il giro del mondo.

Il presidente americano ha sempre considerato l’Afghanistan una «distrazione strategica», un impegno costoso e inutile. Anche dopo le critiche dei media per il disastroso ritiro, Biden ha continuato a difendere la sua decisione, definendo il caos come una «conseguenza inevitabile».

La disfatta come opportunità

Per i nemici dell’imperialismo, il ritiro americano è paragonabile alla disfatta sovietica in Afghanistan del 1989, definita da Zbigniew Brzezinski come il “Vietnam dell’URSS”. Il fallimento dei neocon, gli ideologi liberisti di destra che hanno sostenuto l’intervento americano in Afghanistan, è stato visto come un segno della decadenza dell’Occidente.

Secondo alcuni studiosi, il fallimento dell’Afghanistan potrebbe aver convinto la Russia del declino di Washington. Questo potrebbe aver incoraggiato Putin ad invadere l’Ucraina, nel tentativo di ridisegnare l’ordine mondiale.

Qualsiasi tentativo di porre rimedio al catastrofico bilancio di questi due anni deve partire da una seria riflessione sugli errori commessi nei vent’anni precedenti. Gli errori sono così gravi e clamorosi che probabilmente impediranno qualsiasi nuovo intervento diretto oggi e nel prossimo futuro.