Un anno e mezzo fa, la guerra in Ucraina ha innescato una spirale di rincari dell’energia, con il gas e il petrolio che hanno subito aumenti vertiginosi. Oggi, il conflitto tra Hamas e Israele minaccia una crisi energetica in grado di ripetere lo stesso scenario, con conseguenze drammatiche per l’economia europea e italiana. Come possiamo affrontare questa sfida?

Impegni concreti per andare oltre la crisi energetica

Innanzitutto, per scongiurare una possibile crisi energetica, dobbiamo diversificare le fonti energetiche, riducendo la dipendenza dal gas russo e dal petrolio mediorientale. L’Europa ha enormi potenzialità di sviluppo delle energie rinnovabili, come il solare e l’eolico, che possono garantire sicurezza, sostenibilità e competitività. Purtroppo, l’Europa non ha investito abbastanza in questo settore, lasciandosi superare da altri paesi come la Cina e gli Stati Uniti.

In secondo luogo, dobbiamo riformare i mercati energetici, che sono dominati da una logica speculativa e da un oligopolio di grandi imprese petrolifere. Queste imprese approfittano delle tensioni geopolitiche per alzare i prezzi e fare profitti enormi, a scapito dei consumatori e dell’ambiente. L’Europa deve introdurre regole più severe per limitare le speculazioni sui futures, per controllare i prezzi e per contrastare le pratiche anticoncorrenziali.

Infine, dobbiamo prevenire gli effetti inflazionistici dei rincari dell’energia sul resto dell’economia. L’energia è un bene essenziale, che incide su tutti gli altri settori produttivi e sui redditi delle famiglie. Se i prezzi dell’energia salgono troppo, si rischia di innescare una spirale inflazionistica che erode il potere d’acquisto e frena la crescita. L’Europa deve adottare misure di sostegno alla domanda interna, di protezione sociale e di stimolo agli investimenti, per evitare una nuova crisi.

L’inflazione galoppa

Quest’anno l’inflazione in Italia ha raggiunto il 5.3%, spinta soprattutto dalle imprese che hanno alzato i prezzi per salvaguardare i profitti a scapito della crisi energetica che avanza. Altri paesi hanno gestito meglio la situazione; Francia e Spagna hanno limitato i prezzi dell’energia e la loro inflazione nel 2023 è stata del 5,6 e del 3,5% (dati Fondo monetario). Banca d’Italia prevede che l’inflazione scenderà al 2,4% nel 2024 e all’1,9% nel 2025, più velocemente della media europea. Ma questa riduzione potrebbe non essere confermata.

L’inflazione è aumentata a causa della guerra in Ucraina, ma la Banca centrale europea ha risposto solo con la stretta monetaria, portando i tassi d’interesse da zero al 4% in un anno. Questo ha frenato subito gli investimenti e i consumi: il Pil dei paesi dell’euro ora rischia di fermarsi. Per l’industria italiana la crisi è già iniziata: quest’estate produceva il 5% in meno rispetto a prima della guerra in Ucraina (dati Istat). Questa caduta di domanda rende ancora più urgente trasformare la produzione per ridurre il consumo di energia e l’impatto sul clima.

Senza crescita, l’inflazione erode i redditi reali: in Italia nel 2022 e 2023 lavoratori dipendenti e pensionati hanno perso il 15% del potere d’acquisto, le disuguaglianze si sono aggravate e i “bonus” dei governi sono stati insufficienti. L’inflazione si aggiunge a una tendenza di lungo periodo: dal 2008 al 2022 i salari reali italiani erano già calati del 10% (dati Ilo) e diventa così cruciale come difenderli, con rinnovi contrattuali consistenti e nuove forme di indicizzazione.

I tassi e il debito pubblico aumentano

Non ci limitiamo a subire i dibattiti su precarietà e salario minimo, ma li inseriamo in questo contesto. La finanza pubblica soffre dell’aumento dei tassi d’interesse, che fa crescere il debito pubblico e riduce le entrate (tranne quelle dei prodotti energetici). Lo vediamo nella legge di bilancio del governo: niente risorse per la pubblica amministrazione, la sanità pubblica al limite, pochi margini per la redistribuzione, solo il “cuneo fiscale” che favorisce le imprese e dà piccoli aumenti dei salari nominali: una politica strana in cui i sussidi pubblici sostituiscono la bassa produttività delle imprese.

Per le armi i soldi ci sono

Nel decennio 2013-2023 la spesa militare (dati Nato) è cresciuta in Italia del 26% in termini reali, e quella per gli armamenti del 132%, mentre il Pil italiano solo dell’8%. Questo è il nostro contributo al circolo vizioso tra guerra ed economia.

Il gas alle stelle provoca la crisi energetica

L’ennesima crisi israelo-palestinese sta provocando gravi conseguenze economiche. A metà ottobre, il prezzo del gas ha fatto un balzo al Ttf di Amsterdam, il mercato di riferimento europeo, del +15%, toccando i 53 euro al megawattora per i future scadenza novembre. In una sola settimana, tra il 9 e il 15 ottobre, il prezzo è salito di circa il 40 per cento. Gli operatori del settore spiegano che l’aumento dipende non solo dalle nuove tensioni in Medio Oriente, che hanno fatto salire il prezzo del petrolio, ma anche da scioperi in Australia e da un improbabile sabotaggio al gasdotto sottomarino tra Finlandia ed Estonia.

Il Baltic Connector

Nella notte tra sabato 8 e domenica 9 ottobre, qualcuno ha danneggiato il gasdotto Baltic Connector, l’impianto che collega i due paesi nordici. Tre giorni dopo, il presidente finlandese ha detto che la causa è «probabilmente» un intervento «esterno», senza dare altri dettagli. Poi si è scoperto che a tranciare cavi e condotte sarebbe stata una portacontainer cinese.

L’anno scorso, tre dei quattro gasdotti che formano Nord Stream 1 e Nord Stream 2 esplosero in mare e distrutti a causa di un sabotaggio. Da quando si è interrotta l’importazione russa di gas, il Baltic Connector è diventato l’unico mezzo per trasportare gas in Finlandia, a parte il Gnl.

Durante il vertice a Bruxelles, il segretario della NATO Jens Stoltenberg ha evitato di pronunciarsi sull’incidente al gasdotto del Baltico persino nella conferenza stampa che ha concluso la ministeriale Difesa. La NATO difficilmente avrebbe accusato la Russia (non lo ha fatto per il Nord Stream), ma la tensione è rimasta alta. Gli Stati Uniti, nel frattempo, hanno aggiunto 492mila barili alle loro scorte settimanali di petrolio, che adesso superano i 10.176 milioni di barili.

Tuttavia, il mercato del gas oggi si trova in una situazione migliore rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso: le scorte sono elevate, la domanda è in calo, diverse nuove strutture di importazione sono operative e si prevede un inverno relativamente caldo, che abbassa il consumo di gas.

Taglio delle stime

Il mese scorso il Fondo Monetario Internazionale aveva già tagliato le stime di crescita per l’economia globale e soprattutto per quella del mondo occidentale, ancora largamente dipendente dai gas fossili. A livello globale, la crescita sarà del 3% nel 2023 (dal 3,5% dello scorso anno) e rallenterà al 2,9% nel 2024. Le economie avanzate cresceranno dell’1,5% nel 2023 e dell’1,4% nel 2024 (dal 2,6% del 2022). Lo scenario internazionale delle ultime settimane ha spinto il presidente della Banca Mondiale, Ajay Banga, a dire che il conflitto in Israele è «uno choc economico di cui non abbiamo bisogno» (come se non lo sapessimo…). Anche i mercati finanziari globali, già turbati dall’aumento dei tassi di interesse e dalla guerra in Ucraina, potrebbero entrare presto in una fase fortemente negativa.