Una candela che illumina la strada. È questa la metafora che possiamo usare per la finale di Coppa Italia raggiunta dalla Juve con un gol di Milik a sette minuti dalla fine contro la Lazio. Questa finale, però, non può in nessun modo dare un senso positivo alla stagione dei bianconeri, soprattutto per quel che si è visto nelle ultime 12 partite di campionato: 12 punti conquistati frutto di due vittorie, sei pareggi e quattro sconfitte. Una media da retrocessione.

La sfida con la Lazio, nonostante il passaggio del turno, si rivela un calvario, a tratti persino umiliante. L’ex centrocampista inglese Nigel Reo-Coker, ospite di Cbs Sport Golazo, non usa mezzi termini: definisce il gioco della Juve imbarazzante e preistorico:

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Il calcio è roba semplice

Ormai nemmeno il corto muso si regge sulle sue gambe e la parola “gioco” sembra stia prendendo il posto di “risultato”. Se ne sono accorti pure i dirigenti bianconeri, con Giuntoli in prima linea, che per la prossima stagione punta a portare a Torino un profilo che incarni il calcio e offra una visione autentica alla squadra. Non si parla solo di “bel gioco”, ma di costruire una rosa capace di incarnare l’essenza del calcio, qualcuno che possa superare l’esperienza di Allegri e dare vita a qualcosa di nuovo, più moderno.

Eppure, queste parole sembrano un eco di cinque anni fa, all’epilogo del primo ciclo di Allegri. Anche allora si ambiva a rinnovare e modernizzare una squadra che faticava a farsi riconoscere. Si discuteva di “divario generazionale” e di “sconfitta ideologica” dopo l’eliminazione ai quarti di Champions ad opera dell’Ajax di Ten Hag. Si tentò di introdurre novità con l’arrivo di Sarri (uno scudetto e un ottavo di Champions) e poi di Pirlo (ottavo di Champions, Coppa Italia e Supercoppa). Ma sappiamo tutti come si concluse quell’esperimento: il ritorno di Acciughina.

Non ha senso persistere nella dicotomia tra “giochisti” e “risultatisti”, perché per tornare a vincere, per essere nuovamente il club per cui “vincere è l’unica cosa che conta”, non basta più il solo risultato; occorre seguire un certo stile di gioco.

Illuminazioni

La responsabilità di questa stagione stagnante non è solo di Max Allegri. La squadra a sua disposizione è forse la più mediocre degli ultimi vent’anni e, francamente, fare di meglio sarebbe stato difficile. Quando Allegri lasciò la Juve nel 2019, aveva giocatori del calibro di Chiellini, Bonucci, Barzagli, Cristiano Ronaldo, Mandzukic, Dybala, Douglas Costa, Pjanic e Cancelo. Oggi, invece, la formazione tipo include un centrocampo tozzo con Locatelli, McKennie, Rabiot, Kostic e Cambiaso, una difesa fronte-retro con Bremer, Gatti e Danilo, e un attacco col duo Vlahovic-Chiesa che doveva essere stellare ma non riesce ad illuminare nemmeno la strada dell’incipit.

Mancano le fondamenta, la spina dorsale che sostiene lo spogliatoio, la completezza degli eterni incompiuti.

La coperta di Allegri

Ci siamo accontentati della coperta di Linus che Allegri ha portato con sé, dimenticando che per essere una squadra bisogna avere una struttura solida. Sarà difficile per il prossimo allenatore ottenere risultati migliori senza acquisti di livello. Forse si troverà l’equilibrio nel gioco, ma per le vittorie significative e i trofei dovremo armarci di pazienza e lasciar andare giocatori come Rabiot e Chiesa, che abbiamo considerato pilastri della Juve ma che in realtà non hanno mai espresso pienamente il loro potenziale (escludendo l’eccezionale stagione 22-23 di cavallo pazzo).

È necessario ripartire dai giovani per inaugurare un nuovo ciclo. Fortunatamente, la Next Gen è un’ottima cantera e gli under 23 lanciati negli ultimi tre anni ne sono la prova. Ma attenzione a dire che Allegri li ha lanciati: li ha solo fatti esordire, per poi relegarli in panchina. Ma questa è una storia di cui parleremo un altro giorno.