All’inizio di questa nuova stagione della Juventus avevamo tante belle speranze di aver lasciato alle spalle il grigiore delle ultime stagioni con qualcosa che profumava di futuro. I primi gol di Yldiz e la sua voglia di fare; Vlahovic che sembrava aver trovato la quadra; la difesa solida e affidabile e un Chiesa che sembrava tornato a splendere. Ma ora tutto sembra svanito. L’entusiasmo di Yldiz è stato soffocato sul nascere per le solite manie di Allegri sui giovani. A lui, così testardo da farsi del male da solo, sembra quasi un’offesa che si mettano in mostra e quindi devono subire la sua legge, con panchine e pochi minuti da concedergli, perché «devono crescere». 

Vlahovic fa avanti e indietro tra tribuna e campo, vittima di infortuni e malanni. La difesa non è quella roccia che sembrava. E Chiesa è fuori forma, e sembra anche fuori luogo, con la testa altrove, probabilmente per gli stessi motivi per cui quest’estate ha chiesto di andarsene: un attaccante, a meno che non si chiami Mandzukic o Higuain, con Allegri è destinato a non esprimersi, a faticare e basta, palloni non ne vede, e con quelli che vede deve arrangiarsi da solo: non sia mai che ci sia una squadra con i movimenti senza palla che gli faciliti la strada verso la porta e gliela renda meno affollata di difensori. Il centrocampo nemmeno nei momenti migliori è riuscito a nascondere la sua bruttezza e mediocrità, e anche ora resta il reparto più debole.

Progetto Giovani, Juventus Next Gen

A inizio stagione alla Juventus avevano fatto tante belle promesse; oggi, dopo la sconfitta casalinga con l’Udinese, ci ritroviamo ancora una volta a subire la stessa apatia delle stagioni passate, senza alcuna speranza. E fa arrabbiare non solo me, ma tutti i tifosi juventini. Non basta mettere in campo dei giovani e dire che si sta costruendo un progetto. Questi giovani – che tra l’altro Allegri li fa giocare solo quando non ha alternative, non perché ci creda davvero (come è successo a Yldiz, che ha avuto spazio solo per l’assenza di Chiesa) – devono essere inseriti in una squadra che abbia una logica di gioco, altrimenti non si possono nemmeno valutare.

E questa logica – di gioco e di coerenza – manca drammaticamente. Nessuna squadra come la Juve ne è così priva. Basta guardare le altre squadre, anche di categorie inferiori, per vedere come tutte, più o meno, cercano di compensare le carenze tecniche con una certa organizzazione, anche minima. 

Juventus, il problema organizzazione

Organizzazione non significa avere un bel gioco, errore in cui cadono tutti quando si parla di questo argomento. Il bel gioco non serve a niente: l’Avvocato lo chiamava “calcio champagne“, ma è un concetto superato da anni. Si parla invece di costruire una trama di gioco, di sapere cosa fare e quando, di trovarsi a occhi chiusi, di sapere dove sta il proprio compagno e avere sempre due o tre opzioni di passaggio che rendano la manovra imprevedibile. Tutto questo rende anche più rapida la circolazione del pallone: se so cosa e come fare, lo faccio anche più in fretta. E invece la Juve è lenta, prevedibile, banale, innocua. Triste.

I giocatori, quando hanno il pallone tra i piedi, sembrano sempre persi, si guardano intorno, smarriti e disperati, e spesso, pur di non perderlo (paura? non credere nei propri mezzi? indecisione? boh!), passano indietro il pallone. Questo non è successo solo nelle ultime partite, succede da anni. In questa stagione, anche quando abbiamo vinto, abbiamo sempre giocato così. Abbiamo vinto (anche e) perché gli avversari erano assai più deboli da non riuscire a farci male; abbiamo vinto soprattutto grazie a una difesa che, finché ha potuto, ha tenuto in piedi tutta la squadra, permettendo che bastasse l’unica azione fatta bene per portare a casa i tre punti.

Forma atletica

La forma fisica è una delle cose che ci sta abbandonando. Non è la prima volta che succede alle squadre di Allegri (anche se con Pirlo è andata peggio), ma proprio quando si arriva al dunque, la benzina finisce. E siccome questa è l’unica cosa che ci tiene in piedi, perché la Juventus ormai gioca solo di grinta e di corsa, se finisce quella finisce tutto.

Magari riusciremo a vincere le prossime partite, ma non sarà merito nostro, sarà merito degli episodi. 

Juve, storia di un grande amore

La Juventus non può rovinare quello che ha costruito in più di cento anni di storia diventando una delle tante squadre che si arrangiano. Deve sempre cercare di vincere, perché ha un nome e una storia che la obbligano a farlo. Non può nemmeno lasciare i suoi giocatori a fare da soli, sperando nella fortuna o nel colpo di genio. La Juventus non può improvvisare, deve pianificare e avere un’idea di gioco.

Da tre anni siamo un disastro a livello organizzativo e di progetto, come poche volte nella storia del club Juventus. Non abbiamo alzato la voce contro le ingiustizie e le manovre politiche che ci hanno danneggiato. Non abbiamo reagito alla campagna diffamatoria che da anni ci attacca, perché sul campo non ci sapevano battere (e i soliti avvoltoi ne hanno approfittato). 

La Juventus, al momento, non ha un progetto tecnico, perché Allegri non è un progetto; è un allenatore che vive alla giornata, e con la rosa che abbiamo era l’ultimo che ci serviva, lui che in un’intervista ha perfino deriso quelli che parlano di sovrapposizioni e movimenti senza palla.

I limiti della Juve

I difetti, o meglio i limiti, di squadra e allenatore li ho ripetuti più volte anche nei periodi migliori di questa stagione tra novembre e gennaio, si sperava, piuttosto, che i diretti interessati se li fossero quanto meno messi alle spalle con la consapevolezza e la maturazione di stare a giocarsi il primo posto con una squadra che, l’Inter, è nettamente superiore in gioco, rosa e, ovviamente, posizione in classifica. Si pensava, o almeno si sperava, che l’idea di stare in cima al campionato a pochissimi punti dalla prima, ci rendesse favorevoli ad una specie di favola ad occhi aperti. Un po’ come il calabrone che, a causa della sua struttura corporea, non potrebbe volare, ma lui non lo sa e vola ugualmente. E invece niente, la favola resta favola e il calabrone resta un volatile un po’ ottuso.

Il campo vuole il sangue

Eh sì, il campo chiede il sangue, specialmente se ti chiami Juventus e giochi praticamente solo per vincere. Perché è nel tuo Dna. È sembrato che fino a quando l’Inter era ad una vittoria dal sorpasso, tutta la squadra – allenatore compreso – fosse pronta a fare quel salto di qualità che ti rende indenne ad ogni ferita, ad ogni colpo. Quando poi l’Inter ha preso il largo, quel salto non c’è stato, anzi, sembrava la più classica delle botte con la squadra regredita sia dal punto del gioco che mentale. E ovviamente, tutti i difetti che fino a quale momento si erano in qualche modo nascosti, sono improvvisamente e completamente tornati quantificando la maturirà della squadra.

Momenti no

È chiaro che in una stagione i momenti difficili arrivino per tutti. Non è chiaro, purtroppo, il motivo per cui sono stati gestiti così male a fronte del fatto che, a detta di atleti e allenatore, quei momenti sarebbero arrivati a prescindere dalla posizione in classifica. Il momento difficile è iniziato contro l’Empoli, la partita che ha effettivamente rotto l’argine della bolla che la Juve si era creata attorno alla sua aurea di imbattibilità difensiva. La settimana successiva, nel big match contro l’Inter, si è palesata in tutto il suo splendore: niente spavalderia, niente cattiveria, nessuna voglia di spaccare il mondo. Zero assoluto. La sconfitta con l’Udinese è stata solo l’ultima goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo e sull’orlo della rottura.

Sensazioni

L’anno zero del reset dovrebbe arrivare già a Verona, perché la sensazione che arriva a noi tifosi è che mancato il centro del bersaglio nella partita di Milano. Che si sia faticato parecchio per resettare tutto e tornare allo stato iniziale, quando la voglia di dimostrare qualcosa era palpabile, tangibile.

Resta la zona Champions, e non ci piove che è decisamente alla nostra portata. Arrivarci da terzi o quarti, oggettivamente, è molto diverso che arrivarci da secondi, in primis per i premi Uefa che sono differenziati per ogni posizione di qualifica. Per cui, al di là del piazzamento, è esistenziale non farsi scavalcare dal Milan e/o da Atalanta e Roma. Del resto, anche vincere un’eventuale Coppa Italia (difficile, eh, specialmente di questi tempi) sarebbe la vittoria di Pirro, oltre al fatto che per la finale mancano ancora due mesi pieni. Ça va sans dire.

L’Inter fa quel che vuole

Dopo lo scontro diretto, il primo pensiero che ho avuto è che se si fosse giocato più a viso aperto, la partita, forse, avrebbe avuto un risultato (e degli strascichi) differenti. Poi però ho pensato a chi ha giocato contro di loro a viso aperto: la Roma ne ha fatti due, ma ne ha presi quattro; il Milan ne ha presi cinque; la Fiorentina quattro; la Lazio tre. Insomma, non è ovviamente quanti gol incassi a fare la differenza ma come te la giochi. E diciamo che noi, tra le annichilite, siamo quelli messi peggio. L’Inter, oggi, è la più forte e fa degli avversari quello che vuole. Che piaccia o meno è questa la verità.