Nel 2010, quando Fini tentò lo strappo su Berlusconi, solo Alleanza Nazionale e la sinistra si lamentarono della tempistica scelta dal Presidente Napolitano di completare prima l’esame della legge di Stabilità e poi affrontare la sfiducia.

La morte di Giorgio Napolitano rappresenta un’opportunità per la destra italiana di rivedere criticamente la propria storia recente in modo indipendente. Anche un altro protagonista di rilievo degli anni Duemila, Silvio Berlusconi, è scomparso, ed entrambi hanno ricevuto tributi pubblici significativi. Questo dovrebbe finalmente consentire a tutti di valutare obiettivamente il percorso di questi due presunti avversari politici, senza pregiudizi, e di costruire un racconto più accurato dei loro anni di leadership.

Tuttavia, è evidente che c’è una riluttanza a distaccarsi dalle vecchie narrazioni. Alcuni continuano a dipingere Napolitano come l’artefice di complotti anti-Berlusconi e delle manovre “contro il popolo”, concentrando l’attenzione sul biennio 2010-2011, che ha visto le dimissioni di Berlusconi e l’insediamento del governo tecnico di Mario Monti.

Lo strappo di Fini

Durante quel periodo, i parlamentari che avevano seguito Gianfranco Fini nel suo distacco dalla maggioranza ricordano vividamente la situazione politica. Concordiamo che furono principalmente loro e l’opposizione di sinistra a criticare la tempistica degli eventi, anziché i sostenitori di Berlusconi. Le dimissioni della delegazione governativa finiana seguite dalla mozione di sfiducia firmata da 85 deputati di maggioranza furono eventi significativi. In questo contesto, Napolitano agì da arbitro imparziale, concordando sull’importanza di completare prima l’esame della legge di Stabilità e poi affrontare la sfiducia. Berlusconi, insieme al suo negoziatore Denis Verdini, sfruttò questa tempistica per ottenere il supporto dei cosiddetti “Responsabili” e rovesciare l’esito della votazione per un margine molto stretto (tre voti).

Sorprende che questo dettaglio cruciale sia stato spesso trascurato nelle ricostruzioni successive della destra. Un’analisi più equilibrata e obiettiva potrebbe condurre a una visione più positiva di un Presidente, Napolitano, che è difficile accusare di essere stato parziale contro Berlusconi. Senonché, per farlo, sarebbe necessario riesaminare anche gli eventi successivi, tra cui le dimissioni di Berlusconi e l’ascesa del governo Monti. Questi eventi hanno svolto un ruolo importante nell’evitare elezioni anticipate potenzialmente perdenti per il Popolo della Libertà, ma hanno anche portato a misure impopolari e hanno contribuito alla frammentazione politica con la nascita di vari gruppi minori.

Deliri di onnipotenza

Una rilettura critica di quegli eventi, basata sui fatti anziché sulle narrazioni propagandistiche successive, potrebbe essere utile per sfatare l’idea di un complotto che sembra dominare il panorama politico italiano da un decennio. Inoltre, sarebbe importante riconoscere i fallimenti delle élite politiche e chiamarle per nome: superficialità, ricerca ossessiva del consenso, mancanza di capacità di mediazione e talvolta delirio di onnipotenza. Dovremmo anche riconoscere le problematiche politiche che i nostri Presidenti della Repubblica hanno dovuto affrontare, soprattutto durante quel biennio tumultuoso. Questo periodo ha visto un presidente del Consiglio che perseguiva una lotta contro il presidente della Camera, una coalizione di governo che si sgretolava e l’ascesa di gruppi politici instabili, sia di destra che di sinistra.

Incredibilmente, Silvio Berlusconi potrebbe aver avuto una comprensione più realistica della situazione rispetto a quanto traspare dalle sue dichiarazioni pubbliche. Anche se pubblicamente avallava l’idea di un “golpe bianco” per ottenere una vittoria elettorale, nelle sedi politiche cruciali prendeva decisioni diverse. Appena due mesi dopo le elezioni del 2013, sostenne con entusiasmo la rielezione del Presidente Napolitano e lodò il suo discorso al Parlamento come «straordinario».

Un revisionismo onesto

Sarebbe ora che il mondo conservatore rivedesse questa storia in modo imparziale e considerasse attentamente tutti i suoi dettagli. Questo non solo dimostrerebbe serietà istituzionale nel nuovo ruolo di governo, ma anche un impegno sincero nel cercare la verità storica, anziché piegare gli eventi passati alle esigenze del presente. La destra italiana ha difeso a lungo il diritto di rivedere il passato remoto del paese; è giunto il momento di applicare un revisionismo onesto anche al passato recente, in cui molti sono stati diretti spettatori e protagonisti.