Nessuna delle organizzazioni menzionate in questo post è designata come organizzazione terroristica a livello internazionale. Con tutto ciò, alcune di esse, come Hezbollah, sono considerate organizzazioni terroristiche da alcuni Paesi e organizzazioni. La designazione varia in base all’interpretazione e alla prospettiva del governo o dell’organizzazione che la fa. Questa diversità di opinioni evidenzia la complessità delle dinamiche geopolitiche nella regione in caso di guerra aperta o di conflitto circoscritto al Medio Oriente.

Per comprendere il mondo islamico di fronte alla prospettiva di una guerra potenzialmente globale, è essenziale analizzare attentamente i suoi leader, i loro interessi politici specifici, i sostenitori dei principali gruppi armati, le loro spesso nascoste priorità e le loro contraddizioni e cambiamenti di posizione. Questo scenario, delineato dalle fonti più affidabili, si presenta come il più plausibile.

Hamas

Nel panorama degli attori coinvolti, il Qatar emerge come un emirato piccolo ma incredibilmente ricco, costretto a fare i conti con potenti vicini come l’Arabia Saudita e l’Iran, che non hanno mai sopportato la sua debolezza nazionale. Per proteggere la sua sopravvivenza, il Qatar ha cercato di stabilire relazioni con tutti, fungendo da portavoce dei Fratelli Musulmani, considerati la “matrice” dell’Islam politico che sfida i leader arabi corrotti. Questa posizione ha irritato sia l’Arabia Saudita che l’Iran, soprattutto considerando i rapporti del Qatar anche con Israele.

L’Egitto, in questa crisi, ha una chiara priorità: impedire l’arrivo di profughi nel Sinai. Ha proposto l’idea che, in caso di invasione di Gaza da parte di Israele, i palestinesi si trasferiscano temporaneamente nel deserto del Negev israeliano, vicino a Gaza. L’Egitto evita così di dover gestire direttamente il territorio di Gaza dopo un’eventuale invasione, cercando di evitare responsabilità per possibili attacchi.

La Turchia di Erdogan ha cambiato strategia, schierandosi ora con Hamas dopo aver soddisfatto le richieste della NATO. Erdogan, che un tempo era incline al dialogo con Israele, ora si schiera a favore della causa palestinese sotto la pressione dei partiti islamici turchi. Questa svolta è avvenuta dopo l’approvazione dell’ingresso della Svezia nella NATO, una mossa gradita a Washington.

Hezbollah

Nel Libano la situazione è caotica, senza un presidente da un anno e con un governo provvisorio. Il paese rischia di disintegrarsi in una serie di gruppi armati e precipitare nel caos, soprattutto se scoppierà una guerra aperta. Hezbollah, la milizia filo-iraniana che domina il sud del Libano e il confine con Israele, è il principale attore in questa regione. Mentre la maggioranza dei libanesi desidera la pace, Hezbollah potrebbe non ascoltarli, portando il paese verso ulteriori instabilità.

L’Iran gioca un ruolo determinante nella definizione della linea di Hezbollah. L’Iran ha promesso ai sauditi di limitare gli attacchi contro Israele, rispettando le regole del “conflitto ammissibile”, senza colpire città e infrastrutture. L’obiettivo dell’Iran è utilizzare Hezbollah come una “spina nel fianco” di Israele per dissuaderlo dall’attaccare direttamente l’Iran.

Le milizie armate filoiraniane in Iraq sembrano seguire una linea simile, sebbene alcune di esse abbiano dichiarato di non essere coinvolte nelle azioni di Hamas in Israele e quindi non abbiano mostrato solidarietà. Tuttavia, tre di queste milizie, tra cui l’Hezbollah locale, si sono dichiarate pronte a combattere. La situazione potrebbe cambiare drasticamente per tutti i soggetti coinvolti se Israele dovesse intervenire con un’operazione terrestre nella Striscia di Gaza.

Chi sta con chi

Anche gli Huti filoiraniani nello Yemen sono ben armati ed equipaggiati, pronti a entrare in azione e dimostrare la loro capacità di danneggiare le basi navali americane nel Golfo, in caso di escalation del conflitto.

La Siria di Assad è legata al fronte filoiraniano che la mantiene sulla mappa geografica. Non ha capacità di deterrenza propria ma può ospitare gruppi armati del fronte per facilitarne le azioni, senza esporre altri territori della “Mezzaluna” persiana, come il Libano o l’Iraq. La situazione della Siria e dei siriani sembra essere di poca importanza in questo contesto.

L’Arabia Saudita è consapevole che il suo accordo di pace con Israele è minacciato dalle azioni di Hamas. Di conseguenza, ha sospeso temporaneamente le trattative e ha criticato duramente il leader di Hamas, Haniya, in un’intervista televisiva. L’Arabia Saudita sta cercando di evitare un allargamento del conflitto e di diventare un punto di riferimento politico nel mondo arabo. Ciononostante, per raggiungere questo obiettivo deve conquistare la simpatia non solo dei governi, ma anche dell’opinione pubblica araba.

Scenari futuri

In questo contesto, mi chiedo se, nel bel mezzo di questa complessa situazione, qualcuno si ricordi delle sagge parole del tradizionista islamico al-Boukhari scritte nel nono secolo sulla Ṣaḥīḥ, l’opera musulmana più importante dopo il Corano: «Nel tempo di guerra, le donne, i bambini, i monaci, gli eremiti, gli anziani, i ciechi e i malati di mente non possono essere sottoposti a maltrattamenti». Questa lezione di umanità e saggezza dovrebbe illuminare il cammino di tutti i contendenti in questo conflitto, offrendo una prospettiva di speranza in mezzo all’attuale caos.